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La positivita’ tossica

 

Roma 8 ottobre 2021

A cura del dott.Marco Salerno

 

 

“Andrà tutto bene” e’ la frase più diffusa da quando e’ iniziata la pandemia, la troviamo su cartelli, lenzuola, la ascoltiamo dalle persone che incontriamo pur di sentirci rassicurati e per calmare l’ansia di fronte ad un futuro incerto. Sembra impensabile ma anche una semplice frase come questa può avere una ricaduta negativa sulle persone poiché diventa un obbligo a provare per forza emozioni positive evitando tutto quello che genera una condizione emotiva di difficile tolleranza. Quando siamo costretti ad avere a tutti i costi un pensiero positivo, indipendentemente da quello che proviamo, si parla di positività tossica. Con il termine positività tossica ci si riferisce ad un atteggiamento eccessivamente positivo, che nega ogni emozione non classificabile come positiva. È la convinzione che se ignoriamo le emozioni difficili e  le parti della nostra vita che non funzionano, saremo molto più felici. La positività tossica e’ pericolosa perché e’ uno stato di negazione della realtà e ci costringe a reprimere le nostre autentiche emozioni.

Viviamo immersi in un clima dove l’essere felici e pieni di speranza ad ogni costo e’ un obbligo, basta navigare su social network come facebook ed istagram per rendersi conto del proliferare di personaggi che invitano a vedere tutte le esperienze in chiave positiva, a darsi obiettivi, a superare i propri limiti fino ad affermare che e’ possibile scegliere se vivere emozioni positive o crogiolarsi in quelle definite negative. Insomma non e’ concesso essere tristi, e’ sinonimo di inadeguatezza ed e’ una scelta come se le emozioni fossero prodotti da scegliere sullo scaffale di un supermercato.

In realtà tutte le emozioni hanno un valore e una finalità adattiva, per cui dipende dall’”uso” che ne facciamo, se ci crogioliamo in esso o se, dopo averlo provato, diventa uno strumento per capire meglio noi stessi e per metterci in gioco. Le emozioni ignorate o travestite da un abito di positività diventano disfunzionali, generando una positività tossica che ci confonde  e mina la nostra serenità’. Ogni emozione come la rabbia, il dolore, l’invidia va vissuta ed espressa, bisogna attraversarla perché e’ l’unico modo per non evitarla ed ingigantirla. Scomodando Freud e il suo inconscio, tutto quello che evitiamo e rimuoviamo, rientra nella nostra vita sotto forma di sintomi, per cui non possiamo mai fuggire da noi stessi. Inoltre la positività tossica o toxic positivity, tema approfondito da Stephanie Preston, professoressa di psicologia presso l’università’ del Michingan, e’ una condizione che richiede di essere per forza positivi, alimenta il senso di colpa nell’esprimere le preoccupazioni e le paure, diventando uno stato invalidante poiché  sopprimere il  dolore con dichiarazioni oltre modo felici non è d’aiuto ma  disadattivo.

Al tema di essere positivi a tutti i costi se ne aggiunge un altro molto in voga in questo periodo storico che e’ quello di mostrare di non avere mai o poco tempo libero ed essere sempre indaffarati. Facebook ed istagram sono vetrine in cui le persone pubblicano foto mentre lavorano sorridenti insieme ai colleghi ad orario degni della schiavitù, non a caso e’ stato chiamato in causa Confucio e la sua massima “Scegli il lavoro che ami e non lavorerai mai, neanche per un giorno in tutta la tua vita “.

Lo psicologo Jaime Zuckerman sostiene  che la pressione a essere sempre  produttivi sia una forma di positività tossica come anche il misurarsi con attività nuove o con improbabili sfide fine a se stesse. Zuckerman sostiene che si deve evitare di riempire continuamente la vita di attività nuove, nella vana speranza che ci facciano sentire meglio. Anche in questo caso la fantasia che fare qualcosa di nuovo e sfidante risolva i problemi e ci aiuti ad acquisire fiducia in noi e’ dannosa poiché ci fa scontrare spesso con l’impossibilita’ di raggiungere obiettivi irrealistici.  Zuckerman sostiene che l’evitare il disagio, sostituirlo con fantasie di rinascita o vibrazioni positive e’ dannoso per la salute mentale poiché il dolore va affrontato e non aggirato o rimosso. Piuttosto che essere positivi a tutti i costi e stemperare le emozioni negative, fornendo ricette preconfezionate per raggiungere la felicità,  e’ più indicato ascoltare ed accogliere senza giudizi tutte le emozioni. Se si vuole aiutare sul serio una persona e’ meglio dirle che siamo con lui piuttosto che affermare che andrà tutto bene quando non e’ vero, perché la vicinanza, l’ascolto e l’affetto autentico e’ un dono impagabile che nessuna ricetta può sostituire. E’molto più utile insegnare alle persone ad identificare le emozioni che provano, affrontandole ed elaborandole, piuttosto che sostituirle con la una forzata positività poiché ogni emozione ha valore e deve essere riconosciuta ed espressa.

Come affrontare la fine di una relazione


 

Roma 3 agosto 2020

A cura del dott. Marco Salerno

 

Spesso ci fissiamo su una relazione senza futuro o finita da tempo perché non vogliamo accettare il fatto che sia arrivata al capolinea, il dolore che vediamo all’orizzonte sembra essere troppo da sopportare e abbiamo paura di affrontarlo. Rimanere in una situazione ormai stagnante non ci aiuta in alcun modo, anzi rimandare il momento del distacco e prendere atto del fatto che sono rimasti solo i ricordi di una storia, amplifica la paura della fine.

La fine di una storia equivale ad un lutto, e’ una perdita vera e propria, una separazione definitiva ed irreversibile che ci porta a volte a ricordare solo i momenti belli e a dimenticare le ragioni che ne hanno decretato la fine. Ripercorriamo con la mente ogni momento della relazione, andiamo alla ricerca del “colpevole”, di quel fatto o di quella situazione o persone che hanno incrinato in modo irreparabile il rapporto. Ma la realtà e’ che una storia inizia a finire quando entrambi i partner non si rendono conto che i sentimenti di uno o di entrambi stanno cambiando, che alle parole non seguono più  i fatti e che si sta diventando sempre  estranei l’un l’altro. Non ci sono strategie per affrontare la fine di una storia ma esiste una strada per riprendere in mano la propria vita e per liberarsi dal dolore. Ogni evento doloroso che ci capita ha un significato, sono segnali che ci indicano che quello che stiamo vivendo non era adatto a noi, non consentiva di esprimere le parti più profonde della nostra persona e ci relegava ad adattarci ad una situazione  a volte anche comoda pur sempre soffocante e limitante.

Il dolore può essere visto come un’ingiustizia oppure come uno strumento che aiuta a crescere: spetta a noi decidere come sfruttarlo. Bisogna lasciarlo andare, fluire, attraversare, evitare di continuare a chiedersi chi ha sbagliato cosa o darsi tutte le colpe. E’ finita e bisogna ripartire perché la vita e’ una e abbiamo sempre un’altra possibilità di stare bene. Nella fase iniziale della rottura e’ importante imparare a riconoscere e a convivere con le emozioni di rabbia, tristezza e gelosia, non ricercando i motivi della fine della storia, di cosa si avrebbe potuto fare di più o di chi e’ la colpa. L’importante e’ stare nel presente, nel qui e ora, a contatto con le proprie emozioni anche se dolorose.

Come affrontare la violenza di un narcisista

Roma 13 aprile 2020

A cura del dott. Marco Salerno

 

Chi ha patito violenza da parte di un narcisista ha visto la propria autostima incrinata sia da un punto di vista emotivo sia fisico.  Spesso si nega l’effetto della violenza, credendo che accade a tutti o in ogni famiglia ma non e’ così. Potresti credere che il narcisista sia così  bisognoso di aiuto che giustifichi ogni suo comportamento e ti convinci che sei tu ad avere torto e che devi cambiare.  Negare la realtà può essere una difesa a breve termine per affrontare sentimenti  da cui ti sentiresti altrimenti travolto.  La negazione può proteggerci da realtà non chiare e che abbiamo difficoltà a gestire ma diventa disfunzionale quando le consentiamo di paralizzarci e la usiamo per evitare di  intraprendere azioni appropriare per proteggere noi e la nostra famiglia dal narcisista. La negazione a lungo termine mette in grado chi abusa di perpetuare la violenza nel tempo. Quando ci confrontiamo con la negazione possiamo non  riconoscere il narcisista che abbiamo di fronte perché oltre a giustificarlo all’inizio non e’ sempre facile da riconoscere. Presenta una struttura di personalità disordinata per cui proietta sugli altri la sua colpa, in modo ricorrente rimprovera chi lo circonda dei suoi problemi e viola i confini emozionali, psicologici e fisici.

Le persone che sono state cronicamente accusate da un narcisista e che provano continuamente il senso di colpa, sono tormentate dal dubbio di non avere compreso correttamente la situazione. I narcisisti mettono sempre i propri bisogni prima di quelli altrui e hanno un patologico disordine emotivo che li rende differenti dalle persone psicologicamente sane. Per  chi non e’ mai entrato in contatto con un narcisista, e’ difficile comprendere il suo funzionamento mentale ed emotivo. Il narcisista e’ caratterizzato dall’ipocrisia e dalla contraddizione che sono di difficile comprensione da chi e’ emotivamente stabile e sano ed e’:

  • Profondamente egoista e manca di un sé definito e strutturato.
  • Disconosce le capacità e i risultati raggiunti dagli altro e sopravvaluta i propri.
  • Prova un profondo senso di colpa ma attribuisce agli altri la responsabilità di questa condizione.
  • E’ ipersensibile nei confronti delle critiche e delle offese .
  • Si aspetta sempre di essere giustificato in tutto ma e’ intollerante ed incapace di perdonare.
  • Si aspetta di essere adorato ma tratta gli altri con indifferenza e disprezzo.
  • Pretende lealtà e sostegno ma molto facilmente tradisce ed abbandona.
  • Ricerca il controllo ma accetta poche responsabilità.
  • Si aspetta che gli altri lo aiutino senza che lui lo chieda.
  • E’ irrispettoso ma pretende trattamenti speciali

Come capiamo se la persona a noi vicina e’ un narcisista? Il narcisismo la malattia del XXI secolo

 

Roma 25 febbraio 2020

A cura del dott. Marco Salerno psicologo psicoterapeuta

 

Il narcisista si riconosce facilmente perché cerca continuamente attenzione e consenso, e’ permaloso, non gode mai di quello che ha realizzato, non e’ in grado di far auto ironia e di non prendersi troppo sul serio.  Sperimenta  una esperienza di vuoto, di fragilità, di assenza di senso, noia, ed inconsistenza, e’ una persona schiacciata da un forte giudizio interiore da cui si sente svalutato in ogni momento.

Come e’ possibile capire se la persona a noi vicina e’ narcisista?

Basta osservarne il comportamento e i seguenti stati d’animo:

  • Rabbia: una costante rabbia che a tratti esplode riconducibile ad irritabilità permanente’, continui tentativi di realizzare l’impossibile e la costante sensazione che siano gli altri ad impedirlo. La rabbia protegge il narcisista da chi cerca di minare la sua fiducia, spesso vorrebbe liberarsi da quel legame doloroso che la alimenta. Il narcisista per tenere sotto controllo la sua vittima inoltre usa l’arma del disprezzo che ha la funzione di attutire la rabbia. Non e’ capace di godere dei propri successi, li sfiora e se ne compiace ma il tutto svanisce rapidamente poiché il suo senso di superiorità e’ solamente determinato al modo con cui viene guardato dagli altri. Rileva ogni errore che nota in chi gli sta vicino e grazie alla strategia del disprezzo si protegge dal suo senso di fragilità.
  • Vuoto: il narcisista ha la percezione continua che la vita non abbia alcun senso, si caratterizza per l’incapacità di godersi la vita e per un profondo senso di vuoto che nel tempo porta all’isolamento. Il vuoto e’ l’unico spazio in cui la vulnerabilità e’ attenuata, la consapevolezza di non far parte della vita, di essere spettatore. Il punto centrale del disturbo narcisistico e’ la passività e l’immobilismo, la  totale assenza di sentire qualunque desiderio o passione che guida per il conseguimento di un obiettivo
  • Il senso di superiorità: lo provano per breve tempo sotto forma di disprezzo per chi li circonda.
  • L’esperienza dell’abisso: una sensazione mista di angoscia, paura, vergogna e la paura di essere scoperto per come e’ realmente. Il narcisista si protegge da queste sensazioni ricorrendo a strategie ben distinte. La prima e’ quella di cimentarsi in azioni mirabolanti, spesso e’ una persona di successo, immagina una vita grandiosa ma coltiva il risentimento incolpando il mondo per le occasioni mancate e manifesta improvvisi scatti di ira quando qualcuno mette in discussione le sue idee. La paura e la vergogna emergono saltuariamente nella psiche del narcisista ma difficilmente ne parla e le sente fino in fondo. Paura e vergogna sono strettamente connesse poiché chi ha paura e’ vulnerabile e debole e il destino dei deboli e’ il disprezzo che per il narcisista equivale alla morte
  • Il senso di colpa altruistico: una profonda e strisciante sensazione che per vivere la propria vita ha dovuto deprivare qualcun altro e arrecargli dolore. Spesso il narcisista e’ cresciuto circondato da una famiglia insofferente ad ogni tentativo di autonomia e di indipendenza. Questo sentimento accompagna in ogni momento la sua vita, ogni volta che lo sente, reagisce violentemente, in modo cinico ed insensibile. In realtà questa strategia e’ l’unico modo che conosce per affrontare il ricatto affettivo ma appena vede che l’altro soffre, si sente in colpa e pensa che deve rinunciare a se stesso per farlo stare meglio. L’arroganza del narcisista in parte nasce dal bisogno di vivere e di prendere tutto per proteggersi da chi immagina possa privarlo di esistere.
  • Il senso di appartenere ad una ristretta cerchia di persone uniche e scelte.

Smaltire la spazzatura emotiva

Roma 6 febbraio 2015

 

a cura del dott. Marco Salerno

 

Ci chiediamo mai quanta ansia, delusione e frustrazione  assorbiamo da chi ci circonda e da noi stessi? E’ arrivato il momento di decidere se la nostra vita e’ un cassonetto da riempire di malessere o un’occasione unica per esprimere al meglio chi siamo in sintonia con i nostri desideri e i bisogni piu’ profondi. Ogni volta che subiamo l’effetto dell’ira, dell’ansia e della tristezza paghiamo con la nostra salute, con i disturbi che ne conseguono sia sul piano fisico  che su quello psicologico. David J. Pollay definisce queste situazioni con il termine “spazzatura emotiva” proprio perche’ ci inquinano e ci distraggono da quello che e’ veramente importante per noi. Quando qualcuno libera su di noi ansie, preoccupazioni, rabbia, attiviamo una difesa personale negativa che consiste nell’ utilizzare abitudini e modalita’ di pensiero autodistruttivi che ci impediscono di vivere la nostra vita e ci distraggono dai nostri obiettivi.  Ci sentiamo investiti di un peso che non vogliamo, di una responsabilita’ per azioni ed eventi di cui non siamo protagonisti ma da cui non riusciamo a sottrarci. La “spazzatura emotiva” la produciamo anche noi sotto forma di ricordi negativi che appartengono al passato e che continuano a vivere nel presente nella nostra mente, dipingendo aspettative fosche per il futuro.

La violenza sulle donne, un’epidemia da debellare


Roma 1 ottobre 2013

A cura del dott. Marco Salerno, psicologo psicoterapeuta umanistico integrato a Roma


Le testimonianze delle violenze sulle donne che spaziano da quelle psicologiche a quelle fisiche per culminare  nel femminicidio vero e proprio, si stanno susseguendo a ritmi serrati in questi mesi e sono indicative di una cultura misogina ancora molto radicata nel nostro paese. Troppe donne vengono profondamente violentate se non uccise da padri, mariti e amanti con cui avevano un legame affettivo. La violenza domestica e’ la prima causa di morte nel mondo per le donne, in Italia, dove non esiste un vero osservatorio nazionale sul femminicidio, i dati allarmanti sono raccolti dalle varie associazioni di donne che denunciano una donna uccisa ogni 3 giorni. La violenza domestica e’ costituita da una serie di strategie messe in atto dal partner per indebolire la propria compagna e per assumerne il totale controllo,  coinvolgendo talvolta anche i figli. Un uomo violento crea un clima di tensione costante, di angoscia che si respira nell’aria, con l’obiettivo di isolare sempre  piu’ la propria vittima attraverso minacce, ricatti, induzione di sensi di colpa e denigrazioni. Questi comportamenti possono emergere in qualunque momento della relazione, all’inizio, quando nasce un figlio o anche dopo molti anni. Gli episodi violenti hanno una frequenza crescente e solo in alcuni casi si esauriscono con la denuncia dell’aggressore.