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Lavoro, la buona volontà non basta più: la parola d’ordine è tornare ad imparare

Lavoro, la buona volontà non basta più: la parola d’ordine è tornare ad imparare

10/09/2012

A cura del Dott. Marco Salerno, Psicologo Psicoterapeuta a Roma

(Articolo scritto per www.affaritaliani.it il 10/09/12; http://url2it.com/pobm )

La ricerca di un impiego è diventata un vero ”lavoro” anzi, un’impresa dagli esiti non sempre certi. Proprio per questa ragione, l’idea più diffusa è che qualunque occupazione che garantisca uno stipendio minimo per vivere, è accettabile.
La realtà dei fatti ci dice però che in Italia il 20% dei posti di lavoro disponibili non è stato ricoperto per mancanza di talenti idonei a svolgere determinate professioni. In altre parole, l’incessante ricerca di lavoro non è né mirata né sostenuta da una adeguata formazione professionale e, non ultimo, è sempre più diffuso un atteggiamento di autocommiserazione che non consente di analizzare correttamente cosa richiede il mercato.
La conseguenza è che ci sono dei profili professionali molto richiesti per i quali non esistono persone adeguatamente preparate. Insomma, il vecchio adagio secondo cui basta la buona volontà per trovare un lavoro o il titolo di studio non funziona più.
E’ fondamentale entrare nell’ottica che un lavoro non vale l’altro ma riconoscere che siamo tagliati per alcuni tipi di professione e non per altri in base alle nostre attitudini, alla formazione e all’esperienza maturata. Inoltre chi cerca lavoro deve adattarsi alle richieste del mercato e non viceversa. Questa nuova condizione potrebbe mettere in discussione la professionalità acquisita qualora non venga più richiesta e imporre di svilupparne una nuova o di aggiornarla quando necessario.
Fissarsi su una sola tipologia di lavoro e non rivedere le proprie scelte professionali impedisce di prendere in considerazione nuove opportunità ed equivale a condannare se stessi o ad una lunga attesa se non ad una disoccupazione permanente. Non si è mai troppo vecchi per imparare un nuovo mestiere.
Una buona dose di determinazione e di volontà è il prerequisito fondamentale per trovare lavoro. Gettare la spugna è diventato un atteggiamento abbastanza frequente, basti pensare che piu’ dell’11% della popolazione italiana disoccupata non lo cerca più.

E’ comprensibile una certa dose di sfiducia, la quale però non aiuta ad affrontare in alcun modo la situazione attuale anzi fa precipitare ancora più in basso l’umore di chi il lavoro ancora non lo ha e neanche lo cerca. Non dimentichiamoci che uno dei requisiti principali richiesti da un datore di lavoro è la motivazione a ricoprire il posto per cui ci si candida. Anche se può sembrare assurdo il bisogno di uno stipendio non è considerato l’unica ragione accettabile per assumere una persona. Il potenziale datore vuole capire se chi si mette in casa è realmente interessato a quella determinata posizione, quanto è propenso ad apprendere e a crescere nel suo percorso professionale. In particolare, un atteggiamento umile e smaliziato allo stesso tempo è percepito come un buon biglietto da visita, perché mette in evidenza non solo la disponibilità ad imparare ma anche una sana ambizione e dedizione al lavoro.

 

“Lavoro, dove e come è fondamentale” Il primo passo è l’identikit personale

“Lavoro, dove e come è fondamentale” Il primo passo è l’identikit personale 

03/09/2012

A cura del Dott. Marco Salerno, Psicologo Psicoterapeuta a Roma

(Articolo scritto per www.affaritaliani.it il 03/09/12; http://url2it.com/pobk )

Il messaggio che imperversa ormai su tutti i mezzi di comunicazione è che il lavoro non c’è! Disoccupazione, cassa integrazione, licenziamenti sono parole che non solo fanno parte del nostro quotidiano ma condizionano ogni nostra scelta lavorativa. Ormai non ci poniamo quasi più il problema se un lavoro può davvero interessarci, l’importane è trovarlo. Questo genere di approccio condiziona profondamente la nostra capacità di scelta professionale, determinando la percezione di un ineluttabile destino da cui è impossibile sfuggire.
In realtà c’è una via di uscita da questo circolo vizioso per trovare un lavoro gratificante dove mettere in pratica il proprio bagaglio di esperienze. Per raggiungere questo obiettivo è fondamentale tracciare, con consapevolezza e lungimiranza, un personale identikit professionale.

Il primo passo è fare un bilancio delle proprie conoscenze e competenze, in altre parole capire cosa abbiamo imparato fino ad oggi a scuola, all’università sul luogo di lavoro, durante il tempo libero e cosa sappiamo fare. Cerchiamo di comprendere effettivamente se per svolgere il nostro lavoro utilizziamo il bagaglio di conoscenze capitalizzato fino ad oggi. In questo modo ci renderemo conto se la professione è in linea con le attività pregresse e con gli studi oppure se non vi è alcun legame con questi. Inoltre non si deve sottovalutare alcuna esperienza, anche quelle che possono sembrare apparentemente irrilevanti e poco importanti, poiché possono rivelarsi utili per identificare il lavoro desiderato.
Successivamente è consigliabile rintracciare le migliori qualità e i valori che ci caratterizzano (preciso, attento, costante, competitivo, onesto, affidabile, ecc.) e i possibili ambiti lavorativi che ci potrebbero permettere di esprimerli. Far emergere le proprie qualità gioca un ruolo chiave nel lavoro poiché permette sia di svolgerlo correttamente sia di raggiungere una soddisfazione personale. Le persone non sono macchine che eseguono ordini ma che in ogni occasione mettono in gioco i propri valori e le proprie idee che influenzano la qualità del risultato. Questo vuol dire che sarà molto difficile appassionarsi e svolgere nel migliore dei modi i compiti assegnati se questi sono in contrasto con i propri valori.

Per completare il nostro percorso non si devono trascurare le esigenze personali in base a cui valutare il tipo di inquadramento e il tempo che si vuole dedicare al lavoro. Per cui è possibile preferire una soluzione full time o part time, un contratto flessibile o uno che dia maggiori garanzie. Più l’ambiente professionale scelto consentirà di rispettare le proprie esigenze e i valori, maggiore sarà la possibilità di svolgere correttamente il lavoro e di sentirsi soddisfatti e realizzati per i risultati raggiunti. Al termine di questa autovalutazione saremo in grado di riconoscere i contesti professionali che più si allineano con le nostre esigenze e di identificare il lavoro più adatto in funzione delle nostre capacità, attitudini e valori.

Pessimismo e senso di fallimento: le nuove malattie dei disoccupati

Pessimismo e senso di fallimento: le nuove malattie dei disoccupati

27/08/2012

A cura del Dott. Marco Salerno, Psicologo Psicoterapeuta a Roma

(Articolo scritto per www.affaritaliani.it il 27/8/12;  http://tinyurl.com/9vf99u2 )

Il tema della disoccupazione dilagante e delle sue catastrofiche conseguenze, non ultimo il gesto disperato dell’uomo che si e’ dato fuoco qualche settimana fa davanti a Montecitorio, culminato con la sua recente morte, continuano a riempire le prime pagine dei quotidiani. Ormai non e’piu’ possibile ridurre questo fenomeno esclusivamente a delle crude cifre ma e’ necessario  valutare attentamente la portata delle conseguenze  sul piano umano, sociale e medico.
La disoccupazione e’ un fenomeno che sta investendo sia chi e’ gia’ all’interno del mercato del lavoro sia chi sta cercando in ogni modo di entrarci anche se con risultati non sempre incoraggianti. Inoltre tale condizione si scontra con il valore attribuito al lavoro, considerato un elemento fondamentale nella vita di ogni persona poiche’ contribuisce a definirne il ruolo all’interno della societa’.
La conseguenza immediata del licenzamento e’ la mancanza di sicurezza economica e la conseguente difficolta’ a vivere o addirittura a sopravvivere, a cui segue spesso la percezione di non avere piu’ un ruolo attivo nella societa’. Il disoccupato si chiede se la causa del licenziamento e’ sua, se ha fatto qualcosa di sbagliato o se poteva lavorare meglio, sentendosi a volte quasi un perdente, attribuendosi le colpe per la condizione che sta vivendo. Sul piano strettamente psicologico avviene un vero e proprio terremoto, i sintomi che caratterizzano il quadro clinico sono l’insonnia, l’alterazione dell’appetito, il senso di stanchezza, pessimismo, ansia, irritabilita’, mancanza di autostima e senso di fallimento. E’ facilmente comprensibile che la crisi economica attuale e le sue conseguenze stanno avendo un impatto enorme sullo stile di vita di chi la subisce in prima persona. Inoltre la perdita del posto di lavoro e’ strettamente correlata alla depressione a cui si associano anche altri disturbi come gli attacchi di panico e l’ansia generalizzata. Contemporaneamente si sviluppano alcune cattive abitudini, cresce l’uso di alcolici e di droghe, i divorzi aumentano, avvengono maggiori aggressioni nella sfera domestica e, a volte si mettono in atto gesti estremi come il suicidio, che e’ la manifestazione di una disperazione ormai insopportabile.
La condizione vissuta dalla persona perde il lavoro, secondo la psicologa californiana R.J. Canter, e’ paragonabile ad essere investiti da un’auto. In effetti la prima reazione e’di incredulita’, poiche’ sembra impossibile che possa essere successo proprio a lei e crede che trovera’ a breve un altro posto di lavoro. Successivamente subentra il pessimismo, si rende conto che le difficolta’ sono piu’ grandi di quelle immaginate e le opportunita’ di trovare un nuovo posto non sono molte. In questa fase e’ fondamentale il supporto della rete amicale e famigliare per aiutare a ridimensionare la percezione personale del problema e per sostenere il disoccupato, alimentando la sua motivazione. Dopo circa nove mesi di disoccupazione entra in gioco uno stato di rassegnazione durante il quale la persona smette di cercare lavoro e si isola sempre di piu’ poiche’ pensa che non ne verra’ mai fuori e inizia a vergognarsi della sua condizione di fronte a familiari ed amici. Alcuni studi di settore hanno anche rilevato che i disoccupati, che svolgevano un lavoro in cui si identificavano molto, soffrono della “sindrome di immobilismo” del ruolo lavorativo. Essi difficilmente riescono ad immaginare di svolgerne un’altro diverso da quello precedente, limitando notevolmente la possibilita’ di reinserimento in un nuovo contesto professionale.

Le vacanze e i buoni propositi


VACANZE, TEMPO DI BUONI PROPOSITI, COME MANTENERLI E PORTARLI A TERMINE.

18/08/2012
A cura del Dott. Marco Salerno, Psicologo Psicoterapeuta a Roma

Le vacanze per alcuni sono terminate, altri hanno ancora qualche giorno a disposizione prima di rientrare nelle vesti della quotidianita’. Come ogni momento durante il quale ci concediamo un po’ di relax, abbiamo la possibilita’ di fare un rapido bilancio della nostra vita, valutiamo cosa vogliamo modificare o cosa invece sta andando per il verso giusto. Pieni di entusiasmo stiliamo una lista di buoni propositi da perseguire, ma riusciremo davvero a portarli a termine?

Spesso la maggior parte delle nostre intenzioni non si realizza poiche’, una volta riprese le nostre abitutidini, i propositi delle vacanze diventano quasi sempre un ricordo. Questo comporta inevitabilmente un senso di insoddisfazione se non addirittura di frustrazione per non aver  conseguito l’obiettivo che ci eravamo prefissati. 
Per evitare di trovarvi nuovamente in questa situazione, vi suggerisco di seguire nove semplici passi che vi aiuteranno a realizzare i vostri obiettivi e a sentirvi in grado di modificare la vostra vita con energia ed efficacia.

1) Valutare l’autenticita’ del nostro proposito: verifichiamo se il nostro obiettivo e’ realmente quello che vogliamo conseguire o se dietro questo ve ne e’ un altro a noi ancora non chiaro. Un esempio vi aiutera’ a comprendere meglio quello che intendo. Se desidero ampliare la mia cerchia di amici mi iscrivero’ in palestra o in un circolo culturale. Dopo aver identificato il mio obiettivo iniziale (ampliare la cerchia di amici), mi porro’ anche la seguente domanda: “perche’ fino ad oggi non ho sviluppato una cerchia di amici per me soddisfacente?” La risposta ci aiutera’ a fare luce sulle reali motivazioni che sono alla base del nostro proposito e a formulare con maggiore precisione il nostro obiettivo iniziale.

2) Avere un obiettivo concreto: identifichiamo un obiettivo concreto e tangibile, verifichiamo effettivamente se ci sono le condizioni necessarie per realizzarlo e diamoci un tempo realistico per portarlo a termine (p.es. “voglio vivere bene” e’ un obiettivo indefinito, mentre “voglio ritagliarmi ogni giorno almeno dieci minuti per me” e’ un obiettivo misurabile e verificabile).

3) Valutare i mezzi necessari per raggiungere l’obiettivo: prima di iniziare un’impresa facciamo un elenco di tutto quello che ci servira’ per portare a termine il nostro proposito. Ci sono sempre piu’ modalita’ per conseguire un obiettivo, scegliamo quella piu’ adatta a noi.  (p. es. quanto tempo ogni giorno vogliamo dedicare al nostro obiettivo? Cosa ci serve e cosa invece dobbiamo eliminare per perseguirlo in modo costante?).

4) Fate un buon piano d’azione: ogni cambiamento richiede un progetto di base chiaro e definito in cui nessuna azione e’ lasciata  al caso (p.es. se voglio migliorare la mia forma fisica e’ fondamentale definire quale attivita’ fisica faro’, quante ora alla settimana gli dedichero’, quali esercizi faro’, come modifichero’ il mio regime alimentare).

5) Dividete il vostro obiettivo in sottobiettivi: per conseguire una vittoria ci vuole costanza, dedizione e una forte motivazione. Il vostro obiettivo va diviso in sottobiettivi per consentire di adattarvi a piccoli passi alle nuove abitudini. Premiatevi ogni volta che raggiungete un traguardo prefissato. (p.es. se voglio smettere di fumare, dovro’ diminuire gradualmente le sigarette ogni giorno, potro’ ricorrere ad un programma antifumo o ad un gruppo di autoaiuto).

6) Tenete un diario: la memoria gioca spesso brutti scherzi, per cui, soprattutto all’inizio del vostro percorso, sara’ utile annotare quali sono i momenti in cui avete maggiori difficolta’ nel perseguire l’obiettivo o quali ostacoli incontrate, per modificare successivamente il  piano di azione e adattarlo alle vostre esigenze.

7) Condividete il vostro proposito: e’ fondamentale mettere al corrente del vostro proposito le persone di cui vi fidate, avrete in questo modo qualcuno che vi supportera’ nei momenti di difficolta’ e condividera’ con voi le gioie del successo, costituendo una sorta di specchio in cui riflettervi quando ne avrete bisogno.

8) Premiatevi!!: e’ vero che ci vuole impegno per arrivare all’obiettivo finale ma e’ altrettanto vero che per alimentare la vostra motivazione dovete gratificarvi durante il percorso. Quando conseguite un successo, condividete questo momento con una persona cara e concedetevi un piacere che vi aiuti a ricaricare le pile.

9) Non lasciatevi scoraggiare dalle ricadute: ogni cambiamento comporta anche delle ricadute, ma non per questo dovete scoraggiarvi o biasimarvi. Piuttosto riflettete su cosa non ha funzionato e cosa potete fare di diverso per evitare di incappare in un insuccesso analogo. Ogni insuccesso e’ una occasione per imparare e per affrontare il gradino successivo con maggiore energia.

Quante volte avete immaginato di modificare la vostra vita con una bacchetta magica. Pur desiderando intensamente un cambiamento, in realta’ sareste davvero pronti ad accoglierlo? E’ importante che vi alleniate quotidianamente ad immaginare come vi sentirete  quando avrete raggiunto il vostro obiettivo e che assaporiate con piacere ogni passo del vostro percorso. Le emozioni provate durante il vostro viaggio verso il nuovo saranno la forza piu’ grande che alimentera’ la vostra motivazione.

Perchè iniziare una terapia

Perché andare da uno psicoterapeuta?

Le risposte a questa domanda sono molteplici tra cui: non racconto ad un estraneo i miei fatti personali,  parlo con un amico fidato dei miei problemi,  risolvo da me le mie difficoltà, con il tempo passerà tutto ecc.
Quando tutte queste risposte non forniscono l’effetto sperato, piuttosto che continuare a stare male è preferibile rivolgersi ad uno specialista. D’altronde quando ci fa male un dente o ci fratturiamo un arto ci curiamo da soli o andiamo dal dentista o dall’ortopedico? Per quanto banale il discorso appaia in realtà non è quasi mai cosi chiaro e lineare. Spesso si preferisce soffrire per anni prima di decidere di farsi aiutare.
Dopo essere approdati dallo psicoterapeuta, al neo paziente sorgono spontanei alcuni interrogativi a cui cercherò di dare risposta:

1) quanto dura una psicoterapia?
Non vi è una durata standard, poiché la tempistica dipende dagli obiettivi che il paziente vuole raggiungere e dai vissuti che desidera elaborare. La frequenza e la durata complessiva di una psicoterapia vengono concordate insieme dal paziente e dal terapeuta affinchè il paziente raggiunga uno stato di benessere e di equilibrio personale in tempi ragionevoli.

2) il terapeuta “istrusice” il paziente?
L’obiettivo della terapia è di fornire al paziente degli strumenti che lo possano aiutare a conoscere sé stesso e ad affrontare la propria esistenza in una ottica di una maggiore autonomia e conoscenza di sé. Un terapeuta onesto e professionale non giudica e non da indicazioni o istruzioni ma accompagna il paziente durante la terapia, mettendogli a disposizione un insieme di strumenti e di chiavi di lettura della realtà con cui il paziente si confronta ad ogni incontro.

3) se vado in terapia diventerò dipendente dal terapeuta?
L’obiettivo principale della psicoterapia è favorire la scoperta delle risorse personali e l’acquisto di una completa autonomia per vivere con consapevolezza la propria via.

4) quando capisco se non ho più bisogno della terapia?
La risposta a questa domanda è semplice; il percorso si può dire concluso quando il paziente è in grado di vivere con pienezza la propria esistenza, consapevole delle proprie risorse e dei propri limiti.