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Roma 27 novembre 2014

 

a cura del dott. Marco Salerno

 

Educare è un “mestiere” particolarmente difficile perché l’amore che proviamo nei confronti dei nostri figli si scontra spesso con i necessari  limiti da imporre per consentire loro di vivere una esistenza consapevole e autonoma. Spesso i genitori piuttosto che lasciare che i figli compiano errori intervengono, spianando loro la strada. Questo comportamento li indebolisce notevolmente poiché sono gli errori commessi e la frustrazione che ne deriva a far maturare una persona, consentendole di trovare le risorse interne per adattarsi alle varie fasi di vita che si troveranno ad affrontare. Una frase di Ann Landers sintetizza efficacemente la funzione dell’educazione genitoriale: “ Non è quello che fai per i tuoi figli ma quello che avrai insegnato loro a fare che farà di loro essere umani riusciti”.

Il coinvolgimento dei genitori nella vita dei figli deve essere regolamentato per non contaminare la possibilità di scelta e di errore che i figli hanno il “dovere “ di sperimentare per identificare i loro limiti e per sperimentarsi, questo farà di loro degli adulti consapevoli. Esplorare è una delle azioni fondamentali che l’essere umano mette in atto sin dalla sua nascita e che non va inibita in alcun modo da chi svolge un ruolo educativo ma incanalata in modalità sicure  fino a quando sarà il figlio stesso ad imparare dai propri errori poiché da ogni caduta svilupperà la capacità di rialzarsi sia attraverso il supporto dei genitori sia maturando modalità adattive efficaci. Un figlio che non ha la possibilità di sbagliare sarà un adulto pieno di paure poiché non avrà mai sperimentato e non conoscerà le proprie risorse. La parola “educare”  deriva dal verbo latino educĕre (cioè «trarre fuori, “tirar fuori” o “tirar fuori ciò che sta dentro”), derivante dall’unione di ē- (“da, fuori da”) e dūcĕre (“condurre”) mentre secondo altre fonti  deriva dal verbo latino educare (“trarre fuori, allevare”). Questo significa che il compito genitoriale è quello di aiutare i figli a “tirare fuori” la propria personalità, per conseguire questo obiettivo ricordiamo che dobbiamo essere noi i primi a fare da esempio con le azioni e non solo con le parole. Educare comporta trovare un delicato equilibrio dinamico tra essere indulgenti verso i loro errori e mantenere il punto su altri senza esprimere mai giudizi che hanno solo l’effetto di mortificare nostro figlio quando sbaglia. Una azione educativa efficace è composta da comprensione, sostegno e limiti definiti oltre i quali non è permesso andare. Sento spesso genitori che dicono: “voglio solo il meglio per mio figlio” ma cosa è il meglio per un figlio? Impariamo a distinguere i nostri figli dall’idea che abbiamo di loro, solo quando comprenderemo profondamente che persona sono, le loro inclinazioni, quando avremo imparato ad ascoltarli  potremo aiutarli ad individuare la loro strada. I figli non sono la nostra appendice, la loro felicità è la nostra ma questo non significa che noi siamo felici solo quando lo sono loro. Il rischio è di confondere le relazioni e di creare un legame simbiotico in cui i figli avvertono la responsabilità di fare felici i genitori come se se ne dovessero prendere cura, invertendo i ruoli. Tracciare i confini relazionali è fondamentale sia per definire la relazione genitore-figlio sia   per far comprendere loro che i genitori sono la base sicura a cui tornare ogni volta che esplorano il mondo. Non è corretto essere amici dei propri figli, chi vuole esserlo probabilmente ha paura della disapprovazione e delle inevitabili fratture. Essere amici dei propri figli comporta essere troppo permissivi ed evitare tutti gli aspetti più difficile del compito educativo: affrontare discussioni, liti, insegnare loro come confrontarsi, come comportarsi e riportare loro sulla strada quando si stanno perdendo. I nostri figli invece ricorderanno più la nostra fermezza ed accoglienza piuttosto che l’atteggiamento permissivo che consente loro di fare tutto quello che desiderano.