Roma 1 novembre 2023

 

A cura del dott. Marco Salerno

 

Sì! Vendetta! Tremenda vendetta/di quest’anima è solo desio!
È il disperato grido del furente Rigoletto scagliato all’indirizzo
del Duca di Mantova nella celebre omonima opera verdiana.
Ed è forse il più immediato dei sentimenti, dei desideri, che
prova chi sia vittima di un’offesa, di un torto, di un abuso.
Dunque anche di chi abbia subito anni di soprusi da parte di un
partner affetto da patologie di carattere manipolatorio qual è il
narcisista.

Nel corso della storia molti ordinamenti hanno previsto, come
formula risarcitoria per le vittime di un illecito o di un crimine,
compensazioni che avevano il sapore di vere e proprie
vendette, come la cosiddetta legge del taglione prevista dai
codici babilonesi.
Eppure la nostra cultura, pervasa com’è dalla dottrina cristiana,
ha progressivamente sostituito la drastica riparazione del danno
subito dalla vittima nell’ottica dell’”occhio per occhio, dente per
dente” con forme di castigo e pena che, ad esempio negli
ordinamenti moderni, prevedessero un percorso di riabilitazione
del reo, affinché possa, una volta scontata la condanna, tornare
alla società riabilitato.
O addirittura, nei casi meno gravi, o in presenza di condizioni
particolari, come la giovane età dell’imputato, il giudice può
ricorrere al perdono giudiziale, per consentirgli un più rapido
recupero sociale.
Ebbene, ci si chiederà, quale dovrebbe essere il giusto
indennizzo per chi ha patito le vessazioni di un soggetto
patologico nel corso di una più o meno lunga e sfibrante
relazione tossica?

Dicevamo che il desiderio istintivo della vittima, una volta che si
è ripresa dall’abbandono o dalla fuga dalla prigione soffocante
del rapporto, comunque a psicologicamente ed emotivamente a
pezzi, è quello della vendetta oppure, nell’impossibilità di
attuarne una che non sfoci a sua volta nell’illecito penale, quello
che sull’ex carnefice possa ricadere tutto il male possibile del
mondo.

E se invece non fosse più sano, più giusto, più utile, perdonare?
Non porgere l’altra guancia, ma semplicemente perdonare.
Ma cos’è il perdono? Ebbene, per gli antichi significava piuttosto
“regalare”, nel senso anche di rimettere un debito (in effetti
l’etimologia ci dice che il termine che noi utilizziamo risulta da
un’evoluzione medievale, appunto in perdonare, del latino
condonare, pur sempre dalla radice donare, che non ha bisogno
di spiegazioni, che invece per noi ha assunto un’accezione più
burocratica, se vogliamo).
Perciò, se vogliamo intendere il perdono, più che come una
remissione dei peccati, in senso moral-religioso, o come una
assoluzione in senso giuridico, piuttosto come una rinuncia
all’odio, al rancore, ai sentimenti negativi nei confronti di
qualcuno che sì, ci arrecato dolore, ma che fortunatamente a un
certo punto, per sua o nostra volontà, è uscito dalla nostra
esistenza, allora questa forma di grazia assume una sua
luminosa positività, nel farsi intenzione concreta di voltare
pagina, mettendosi alle spalle il male subito, nella prospettiva di
trovare finalmente una nuova dimensione di serenità.

Certamente chi ha trovato il coraggio di allontanarsi da un
contesto avvelenato dalla tossicità dell’abuso narcisistico, o
anche chi ne è uscito in seguito al brutale scarto dell’aguzzino,
al termine di un lacerante percorso di svilimento e demolizione
della vittima, si ritrova in genere svuotato, privo delle energie
necessarie per ricominciare, per rimettersi, come si suol dire, in
gioco.

La domanda più frequente, che rivolge a sé e agli altri, è: ma
troverò mai la persona giusta?
E soprattutto, viene da chiedersi, chi è, cosa vuol dire
esattamente, la persona giusta?
Il più delle volte si è portati a credere che la persona giusta è
quella che ci completa, la famosa “altra metà della mela”.
Ecco, proprio qui sta l’errore di fondo che molti compiono, e che
poi talvolta è alla base di quella sorta di debolezza, o senso di
incompletezza, che fa cadere tante persone nella trappola tesa
dai narcisisti, che hanno antenne ben tese e calibrate per
cogliere al volo questo bisogno, sapendo bene come infilarsi
abilmente nelle crepe, nelle fratture che ognuno di noi ha, più o
meno esposte.
Dunque, la persona “giusta” è quella che è in grado di esaltare
le nostre qualità, di corroborare, fortificare la nostra personalità,
così come noi con lei, senza che nessuno dei due sottragga
nulla all’altro.
Perché questo “miracolo” possa compiersi abbiamo bisogno di
stare anzitutto bene con noi stessi, trovando la felicità in noi e
non mendicandola presso qualcun altro, che non ce la può dare
se non ve n’è già nel nostro cuore.
Il partner migliore è chi adorna come una ghirlanda il tesoro che
abbiamo già scovato dentro di noi.
L’amore è dunque l’opposto del narcisismo. Il narcisista non
guarda mai dentro di sé, ne ha assolutamente il terrore, perché
sa che potrebbe scoprire il vuoto, l’abisso.
È un fiume che esonda perché ha una paura folle che le sue
acque vengano solcate.