A cura del dott. Marco Salerno, psicologo psicoterapeuta a Roma
Roma 3 dicembre 2013
Lo scontro si crea nel momento in cui entrambi i partner passano dall’ascoltarsi al volere avere ragione ad ogni costo, arrivando ad un braccio di ferro fatto di accuse reciproche che sfociano in una lotta all’ultimo sangue. Per interrompere la spirale distruttiva, uno dei due deve allentare un po’ la presa e aprire uno spiraglio per iniziare il dialogo. Questo implica dare un po’ di ragione al proprio interlocutore per allentare la tensione e riprendere il discorso. Qualcuno si chiedera’ perche’ deve essere il primo a cedere visto che e’ convinto di avere ragione ma avere ragione non consente alla conversazione di avanzare e di trasformarsi in dialogo. Quando vogliamo avere ragione probabilmente stiamo cercando di sopraffare il nostro interlocutore e di comunicargli implicitamente che qualunque cosa ci dira’ non avra’ possibilita’ di confronto poiche’ sara’ sempre dalla parte del torto. Dare un minimo di ragione all’altro consente di creare le condizioni per l’ascolto attivo e di comprendere reciprocamente la causa che ha ha trasformato una dialogo in una lotta. La vergogna e l’orgoglio entrano in gioco ogni qual volta vogliamo prevaricare il nostro interlocutore. L’orgoglio e’ un arma di difesa che mettiamo in atto quando il nostro interlocutore ci ha duramente offeso con le sue parole, per cui non siamo assolutamente disposti ad aprire uno spiraglio. Per uscire da questa impasse basta porci una semplice domanda: “ per me e’ piu’ importante avere ragione ed essere orgoglioso o cercare un punto di contatto con il mio partner?”. La tecnica del dare ragione non significa abbassare la testa e farsi calpestare ma cedere un po’ e avvicinarsi all’altro e allo stesso tempo proporre una alternativa a quello che non condividiamo e su cui abbiamo ceduto. Questo fara’ sentire il nostro interlocutore accettato e allo stesso tempo creiamo la condizione per esporre il nostro punto di vista.
Un’altra modalita’ per favorire il dialogo, nel momento in cui crediamo fermamente in quello che diciamo e’ quella di chiedere scusa. Funziona quando ci dispiaciamo sentitamente per quello che e’ accaduto e faremo di tutto perche’ non avvenga piu’.
L’ascolto attivo e’ la modalita’ principale per prendere veramente in considerazione il nostro interlocutore, per far sentire anche lui protagonista del dialogo insieme a noi. Ascoltare e’ difficile perche’ implica concentrarsi sull’altro e mettere momentaneamente da parte il nostro bisogno di riconoscimento, di vicinanza, di ascolto. I pensieri che abbiamo in mente li accantoniamo quando decidiamo di ascoltare ed evitiamo anche di parlare sopra il nostro interlocutore, di corregerlo e di esprimere giudizi. Per non sprofondare in un monologo e per far capire al nostro interlocutore che lo stiamo seguendo e che stiamo elaborando il suo pensiero, possiamo dargli ogni tanto un feedback su quello che sta esponendo. Frasi come ”se ho capito bene” o “dimmi se sbaglio” sono modi per riassumere cio’ che stiamo ascoltando e per verificare se effettivamente stiamo capendo il discorso altrui correttamente. Questa tecnica non implica che chi ascolta condivide il contenuto di chi parla ma che lo sta comprendendo attraverso l’invio di un messaggio di feedback al proprio interlocutore attraverso la riformulazione del suo contenuto.
Fare domande e’ un modo eccellente per formulare chiaramente quello che vogliamo chiedere e per ricevere un po’ di attenzione. Inoltre l’ascolto e’ piu’ piacevole dal momento in cui le parole del nostro interlocutore sono la risposta ad una nostra domanda. Le domande migliori sono quelle aperte che consentono di rispondere in modo complesso ed esaustivo mentre le domande da evitare sono quelle chiuse a cui si puo’ rispondere solo con un si o un no. Queste ultime sono di tipo interrogatorio alle quali non e’ possibile rispondere in modo chiaro e libero, sono spesso passabili di interpretazione da parte di chi le pone. Inoltre mettono l’interlocutore all’angolo, cercando di indebolire le sue argomentazioni.
Le critiche sono un altro modo per alzare il livello di tensione e per arrivare allo scontro. Possiamo sostituire la critica con il comunicare il nostro stato d’animo a chi ci ascolta . Vi e’ una enorme differenza nel dire “tu non mi ascolti mai, parli solo di te ecc.” oppure dire “quando parliamo non mi sento ascoltato ma frustrato e triste”. La seconda modalita’ esprime il nostro stato d’animo e le nostre emozioni mentre la prima e’ una critica che non porta alcun contributo positivo alla conversazione. Cerchiamo di inizare le frasi con “io sono, io mi sento” e non con ‘’tu sei” poiche’ parliamo di noi e dei nostri stati d’animo, comunicare significa anche assumerci la responsabilita’ di quello che esprimiamo. Non aspettiamoci che il nostro interlocutore comprenda le nostre emozioni senza averle espresse, non legge nel pensiero per cui non puo’ indovinarlie Le parole che usiamo veicolano sia un significato sia delle emozioni e sono proprio queste ultime che potremo esprimere al nostro interlocutore per fargli capire come ci sentiamo, il nostro obiettivo non e’ sopraffarlo ma spiegargli cosa proviamo.
Lo psicologo M. Prior ha elaborato una utile regola per liberarsi dal conflitto comunicativo, riformulare ogni accusa in un desiderio. Prior ipotizza che dietro ogni accusa vi sia un desiderio o una aspettativa non soddisfatta. Piuttosto che rinfacciarsi reciprocamente le proprie mancanze e accusarsi e’ molto piu’ costruttivo comunicare reciprocamente i propri desiderata e le proprie emozioni. In questo modo si scoprono aspetti della relazione non ancora espressi con chiarezza che necessitano di una comunicazione chiara ed diretta per essere compresi.
Bibliografia:
Jetzt verstehe ich dich, Huub Buijssen, Beltz 2013
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