Roma 24 giugno 2023
A cura del dott. Marco Salerno
Cos’è l’empatia? Ce lo dice l’etimologia del termine: si tratta di
una parola di origine greca che significa letteralmente “sentire
dentro”, provare, o meglio, comprendere dentro di noi le
sensazioni di qualcun altro con cui entriamo in connessione
emotiva.
È certamente una gran qualità essere empatici, sapersi mettere
nei panni degli altri, o come dicono gli anglosassoni, nelle loro
scarpe.
Ma talvolta queste scarpe non sono esattamente le più comode,
anzi.
Quando un empatico incontra un soggetto psicologicamente
narcisista tende a gestire il rapporto secondo la propria etica,
col rischio di cadere a sua volta vittima delle perniciose
manipolazioni che quell’individuo può mettere in atto.
Insomma, se da una parte l’empatia è un po’ come un dono,
dall’altra può rendere chi ne è capace una possibile preda di chi
è in grado di approfittare senza alcuno scrupolo morale
dell’apertura altrui.
Badate bene, non della debolezza, ma della generosa
comprensione che l’empatico dimostra al suo prossimo.
Dunque è sempre molto importante ricordare che, quando ci si
imbatte in un soggetto tossico, che sia un narcisista vero e
proprio o anche un co-dipendente capro espiatorio, si tratta in
entrambi i casi di individui che vogliono succhiarci delle energie:
il primo, soprattutto se covert, estremamente abile a carpire i
nostri segreti stati d’animo, che a sua volta non prova, essendo
un arido, e approfittarne per riuscire a procacciarsi la sua brava
dose di approvvigionamento narcisistico; il secondo,
tendenzialmente non un vero e proprio predatore, talvolta in
fondo anche buono, ma talmente centrato su se stesso da non
vedere altro che i suoi problemi e dunque estremamente
richiedente.
Quest’ultimo, il co-dipendente capro espiatorio, è sempre alla
spasmodica ricerca di conferme negli altri, ma non ne avrà mai
a sufficienza, così come non troverà abbastanza efficaci le
soluzioni che gli offrirà l’eventuale empatico di turno che gli avrà
generosamente prestato le sue attenzioni.
Sono i classici amici che tutti abbiamo incrociato nella vita
prima o poi, che ti parlano dei loro problemi, sottolineando in
genere vittimisticamente il crudele destino che li ha colpiti, ma
lo fanno solo per assorbire il nostro tempo, non perché
desiderino realmente che chi dà loro ascolto li aiuti ad uscire dal
tunnel in cui sono perpetuamente assorbiti.
Certamente anche il narcisista assume un comportamento che
è volto ad ottenere attenzioni, ma lo scopo che lo spinge ad
agire è sostanzialmente la manipolazione della vittima
prescelta, mentre il co-dipendente capro espiatorio non ha la
stessa consapevolezza del narcisista, è piuttosto spinto da un
reale bisogno di attenzioni, in quanto incapace di amarsi.
La questione fondamentale è in definitiva che il soggetto sano,
empatico, deve essere in grado non solo di riconoscere chi si
trova di fronte, ma soprattutto di dosare con raziocinio e cautela
(se è il caso) la propria disponibilità, anche se l’istinto sarebbe
quello di dare più del dovuto agli altri, anche quando si tratta di
soggetti tossici o potenzialmente tali, perché tende a ravvisarne
la profonda debolezza, ad avere una sorta di pietà per il vuoto
che li caratterizza.
Ma quando è necessario deve prevalere sì l’istinto, ma quello
(direi animale e atavico) di preservazione, altrimenti si rischia
seriamente di soccombere a propria volta nel gorgo delle
manipolazioni o delle sabbie mobili dell’autocommiserazione
altrui.
E inoltre è vitale sapersi imporre quando la situazione lo
richiede, per non lasciare il mondo sempre in mano ai predatori,
a coloro che senza alcuna remora aggrediscono, divorano tutti i
miti “erbivori” che intralciano il loro cammino.
A forza di voler essere sempre comprensivi, cercare di trovare
la recondita ragione della malvagità altrui, si finisce a volte
quasi per giustificarla, cosicché l’empatia verso il prossimo si
può trasformare nell’autostrada senza pedaggi per chi
viceversa impronta la propria esistenza alla prepotenza, al
raggiro, all’egoismo, alla fame insaziabile di potere.
Questo non significa assolutamente passare al “lato oscuro
della Forza” (per utilizzare una metafora cinematograficamente
celebre), ma solo porre dei limiti giusti ed equilibrati al di per sé
ammirevole desiderio di abbracciare il mondo dando tutto se
stessi.
Credits: www.pierandreapriolo.it
Bibliografia: Bibi Hayworth, 7 anni di buio, Amazon