A cura del dott. Marco Salerno
“Tutte le famiglie felici si assomigliano; ogni famiglia infelice è infelice a
modo suo”.
Il noto incipit di Anna Karenina ci ricorda quanto il nucleo fondamentale
di ogni umana civiltà possa rappresentare non solo e necessariamente
il riparo e il rifugio dell’individuo dalle tempeste della vita, quanto spesso
piuttosto il contrario, ovvero la fonte dei disagi, delle ferite e delle crepe
psicologiche che si trasformano in pesanti zavorre che ci impediscono
di superare quelle difficoltà esistenziali che ognuno di noi
inevitabilmente prima o poi si trova ad affrontare.
Anche nel caso delle patologie collegate al disturbo narcisista la
famiglia d’origine può assai di frequente rivelarsi il brodo di coltura in cui
si sviluppano, sin dall’infanzia, le personalità deviate che da adulte si
accaniranno contro vittime più o meno inconsapevoli.
Le dinamiche della relazione tossica fra narcisista/aguzzino e vittima
co-dipendente sono spesso presenti all’interno delle mura domestiche
dove il sia il primo che il secondo sono nati e cresciuti.
Difatti l’abuso narcisista viene perpetrato in primis da uno dei (o a volte
da entrambi i) genitori, a sua volta un (o una) narcisista.
Talvolta la coppia genitoriale è formata da un covert e un overt, laddove
dei due il vero e proprio manipolatore (anche nei confronti dei figli) in
genere è il primo.
In presenza di più figli, ci si può trovare di fronte a differenti personalità,
che si formano a seconda di come vengono plasmate (leggi, abusate)
dal genitore narcisista.
Dunque questi può crescere un figlio co-dipendente empatico,
utilizzandolo come trofeo, al fine di alimentare il proprio bisogno di
approvvigionamento narcisistico; un altro, sempre empatico co-
dipendente, ma abusandone come fosse una ruota di scorta e capro
espiatorio (dunque dei due abusati, quello più affetto da devastanti
sensi di colpa); ma anche uno a sua volta narcisista che, per sottrarsi
alla catena abusante, istintivamente sin da bambino imita e fa propri i
comportamenti predatori del genitore.
Ovviamente le combinazioni fra queste varianti possono essere
molteplici, ma quel che rileva è che, all’interno di una famiglia del
genere, non regnano di certo armonia ed equilibrio affettivi.
Non sempre, anzi quasi mai, per chi si ritrova ad essere vittima di un
narcisista è semplice non solo riconoscere in tempo la tossicità e la
pericolosità di certe dinamiche relazionali, ma anche cercare di capire
come sia stato possibile cadere in una simile trappola, anche quando ci
si riteneva immuni da simili malìe seduttive.
Ebbene, quel che spesso accade a questi soggetti, quando iniziano
l’ascesa dalle tenebre alla luce, è che, rimettendo assieme i pezzi del
rompicapo, si rendono conto magari di essere cresciute senza capirlo in
un contesto familiare che le ha predisposte a diventare un giorno prede
perfette per soggetti patologici.
Si può improvvisamente capire di essere stati il bambino sempre messo
in mezzo in famiglia come catalizzatore delle attenzioni morbose del
genitore abusante, del fratello o della sorella prepotenti, a loro volta figli
prediletti (trofei) del genitore medesimo.
E quindi ci si può rendere conto di aver sviluppato inconsapevolmente
una predisposizione abnorme al sacrificio per gli altri, soprattutto
partner in grado di replicare gli schemi abusanti del genitore narcisista.
Le famiglie poi dove a incrementare le patologie narcisistiche sono in
più di un membro, rappresentano dei veri e propri vespai, degli alveari
dove ognuno ricopre sì un ruolo più o meno dominante, ma dove tutti
insieme concorrono alla difesa del gruppo e dei suoi valori di supposta
supremazia e superiorità nei confronti del resto del mondo.
Ciò comporta che un’eventuale vittima di uno dei membri lo diventi in
sostanza di tutta (o quasi) la sua famiglia d’origine.
In una sorta di diabolica collaborazione (non necessariamente
coordinata a tavolino), la vittima del narcisista si ritrova al centro
inizialmente delle morbose attenzioni seduttive dei suoi parenti, in un
love bombing moltiplicato per quanti sono i familiari coinvolti.
Ma poi, quando il predatore comincia ad attuare la fase svalutante e
infine distruttiva per fare a pezzi il partner abusato, può di certo contare
sull’assistenza di eventuali genitori, fratelli e sorelle che, come vampiri,
si avventeranno a succhiare il sangue della vittima fino a ridurla a una
larva umana.
Se viceversa quest’ultima oserà ribellarsi e in un sussulto di dignità e
resistenza si opporrà e tenterà di spezzare la catena degli abusi,
ridestandosi dagli incantesimi della sindrome di Stoccolma che l’hanno
tenuta docile al guinzaglio fino a quel momento, allora tutta la famiglia
dell’aguzzino si adopererà come un sol uomo, come un’autentica
falange macedone, per far apparire la vittima “sovversiva” inadeguata
come partner affidabile, e più in generale come persona di scarso o
nullo valore.
Perché se all’inizio, per alimentare il bisogno di approvvigionamento
narcisistico, il predatore necessita di una vittima trofeo il più possibile
bella e prestigiosa, quando il rapporto finisce e ciò non avviene per
volontà del rapace ma, al contrario, per decisione del partner, il
narcisista (e tanto meno la sua famiglia, quando in tale dinamica
perversa connivente) non può in alcun modo tollerare che la sua
immagine di vincente possa essere offuscata.
D’altronde fino al momento della rottura aveva potuto contare sulla
cosiddetta dissonanza cognitiva indotta nella propria vittima, incapace
di distinguere fra la realtà dei fatti e la falsa rappresentazione che di
essa gli è stata veicolata dalle abili astuzie manipolatorie del proprio
aguzzino.
Ecco perché è fondamentale, per liberarsi dal giogo del narcisista,
trovare una fonte di aiuto esterna, o altrimenti riannodare la fune
interiore che riporti il futuro sopravvissuto a rivedere la luce dal fondo
del pozzo in cui era caduto.
Credits: www.pierandreapriolo.it
Bibliografia: Bibi Hayworth, 7 anni di buio, Amazon