Roma 25 settembre 2023
A cura del dott. Marco Salerno
Se una relazione tossica con un soggetto manipolatore può
assolutamente essere paragonata a una prigione per il corpo e la
mente delle vittime, la domanda che queste spesso si fanno quando
in un modo o nell’altro ne escono è: cosa c’è oltre le sbarre, cosa
farò ora che sono fuori?
È quel che sovente si chiedono i carcerati nell’imminenza del
termine di fine pena.
Nel caso della vittima di un narcisista patologico i casi sono due: o
è stata lasciata o è riuscita a liberarsi da sola dal giogo di un
rapporto avvelenato.
Come sappiamo e abbiamo già sottolineato più volte, varcare la
soglia della libertà quando si è incastrati dentro una relazione
malsana è estremamente complicato e richiede una capacità di
analisi e lucidità che la gran parte delle vittime di narcisisti,
soprattutto se la storia dura da molto tempo, hanno purtroppo
perduto, a causa delle continue distorsioni mentali e manipolazioni
che hanno dovuto subire.
Sarebbe fondamentale riuscire, da parte della vittima, anzitutto ad
operare una sorta di “controsvalutazione” del proprio aguzzino, in
risposta alla svalutazione che a sua volta quest’ultimo ha di certo
già ampiamente messo in atto da tempo, dopo la fase seduttiva
utile ad irretire la preda.
Quindi, questa dovrebbe iniziare a un certo punto, se ne ha
ancora la forza e la consapevolezza, a domandare a sé stessa
quanto e se il proprio partner la fa sentire serena, valorizzata, in
grado di sviluppare armonicamente la propria identità, e quanto
ne arricchisca la vita di aspetti positivi.
Ove le risposte fossero di segno negativo, ciò dovrebbe indurre a
chiudere il rapporto.
Allo stesso modo rendersi conto di essere sottoposti a frequenti, se
non continui, ricatti emotivi, dovrebbe suonare come
inequivocabile campanello d’allarme.
Se il partner fa sentire l’altro sempre in colpa per cose che magari
non ha nemmeno mai fatto, se ne limita la libertà nel senso
d’indurlo a comportamenti contrari alla propria natura e carattere,
pur di mantenere un’apparente serenità nella dinamica di coppia,
se minaccia sovente di scomparire, di abbandonarlo, ecco, si è in
presenza di una forma assai perniciosa di intimidazione abusante
che non dovrebbe mai essere tollerata da nessuno.
Se si decide di non accettare più questa vita fatta di manipolazioni
e ricatti emotivi (perché altrimenti non resta altro che arrendersi e
farsi distruggere dal narcisista patologico), come per un
condannato che abbia scontato la pena, è fondamentale non
ricascarci.
Per non “recidivare”, come si direbbe in termini giuridici, diventa
fondamentale porsi degli obiettivi concreti, dei traguardi di cui
essere estremamente consapevoli.
Desiderare di avere ogni giorno la forza per non tornare con il
soggetto che ci ha usati e feriti, così come averne altrettanta per
trovare in noi stessi l’equilibrio necessario a non cadere mai più
nella trappola di un rapporto intossicante come quello da cui si è
appena usciti.
Questo è un buon modo per iniziare una nuova vita, improntata
alla salubrità delle relazioni, al compimento di propositi che diano
un senso positivo ad ogni singola giornata.
Decidere di iniziare un percorso terapeutico può rappresentare un
efficace sistema per dotarsi nel tempo degli strumenti utili a
raggiungere gli scopi che ci si è prefissati.
Al contempo è importantissimo non essere indotti nella tentazione
di seguitare a informarsi della vita dell’ormai ex partner, attraverso
i canali social o simili.
Essersi liberati di un manipolatore è un regalo, da prendersi come
una fortuna che il destino ci ha donato per permetterci di aprire
un nuovo capitolo dell’esistenza, all’insegna della quiete
costruttiva, al posto del dolore e dell’inquietudine, della sofferenza
e della tensione continue cui si era incatenati prima.
Una delle difficoltà maggiori che affrontano le vittime di
manipolazione psicologica una volta uscite dalla relazione col
narcisista patologico è quella di riuscire a non considerarsi
sbagliate, fatte male, destinate sempre e comunque ad avere storie
d’amore tossiche.
Dopo un periodo più o meno lungo in cui si è stati sottoposti a un
lavaggio del cervello da parte di un aguzzino sempre pronto a
svalutare, a umiliare, a dare la colpa, a mortificare, ci si convince
di essere irrimediabilmente inadatti, inutili, irrecuperabili.
Il primo passo per ricostruirsi la vittima di un narcisista deve farlo
pensando, anzi convincendosi intimamente, di non essere lei
colpevole, perché la vittima non può mai essere biasimata per
essere caduta nel tranello, non può e non deve mai essere additata
con l’odioso, intollerabile atteggiamento vetero paternalistico che
sfocia sovente nella frase “in fondo te la sei cercata”.
Responsabilizzare la vittima, per ciò stesso in qualche maniera
dunque sminuendo le colpe dell’aggressore, quello che viene
chiamato victim blaming, è quanto di peggio si possa fare, anche a
livello sociale.
Il narcisista, nella fase svalutante della relazione, quando l’orrore e
il vuoto che alberga in sé, non potendolo riconoscere, lo vede
piuttosto riflesso come in uno specchio nel partner, gli (o le) muove
critiche spesso molto pesanti, il più delle volte giustificando tale
comportamento aggressivo con il desiderio di mostrarsi sempre
sincero, al limite della brutalità: ma non si tratta di critiche
costruttive, ma solo operate al fine di demolire l’autostima della
vittima e soggiogarla del tutto al proprio volere.
Dunque la vittima, quando sopravvive alla relazione, e ne esce,
seppur di certo non indenne, deve affrontare una complessa fase di
ricostruzione, che inizia appunto dal riconoscimento di essere tale
e di non avere alcuna responsabilità per essere stata predata e
distrutta.
E semmai può riconoscere di aver ceduto alla debolezza di non
credere davvero in sé, nel proprio intrinseco valore di persona, che
merita rispetto sempre e comunque, oltre che affetto, amore.
Debolezza che ha permesso al predatore di infiltrarsi nelle crepe
del cuore della vittima e lacerarne, sfibrarne l’intimo tessuto.
Credits: www.pierandreapriolo.it
Bibliografia: Bibi Hayworth, 7 anni di buio, Amazon