Roma 28 aprile 2024
A cura del dott. Marco Salerno
Cosa c’entrano fra loro, vi starete chiedendo, i due elementi con
cui abbiamo deciso di intitolare questo articolo?
Ci arriveremo, ma intanto cominciamo col parlare delle difficoltà
che si sperimentano quando si tenta di mettere fine a una
relazione considerata tossica.
Già essere arrivati a riconoscere che il rapporto in cui si è
coinvolti non è sano è un bel passo avanti: all’interno della
coppia, l’eventuale vittima di un narcisista manipolatore,
soprattutto se la relazione dura da tanto tempo, a un certo
punto quasi non è più in grado di guardarsi allo specchio
e vederci per l’appunto una preda, qualcuno che è stato ridotto
alla larva di sé stesso.
I processi manipolatori tendono esattamente a questo, a ridurre
a una sorta di stato di sudditanza psicologica il partner, al punto
tale da renderlo innocuo/a e incapace di ribellarsi a tale
sottomissione.
Quando però la vittima in qualche maniera riesce a ritrovare un
minimo di lucidità per analizzare la propria situazione di
sofferenza e, di conseguenza, ad avvertire il desiderio di uscire
dalle costrizioni di un rapporto malsano, spesso non trova la
forza per farlo. Perché?
Spesso si pensa che un essere umano agisca per soddisfare i
propri bisogni e piaceri, per raggiungere degli obiettivi.
Ci sembra del tutto illogico che viceversa si possa agire contra
se, deliberatamente in contrasto con i propri interessi e
necessità.
E invece, chiunque sia rimasto vittima di relazioni tossiche,
dentro di sé ha coltivato una paradossale forma di odio nei
propri confronti, una sorta di masochismo esistenziale che porta
a compiere gesti ed azioni con nuocciano a sé. Perché?
Tutto dipende dal livello di autostima, di amore verso sé stessi.
La parola “stima” deriva dal latino aestimus, termine formato da
aes (bronzo) con un suffisso superlativo (come optimus).
E se ops (ricchezza) sta all’optimus per indicare il “migliore”,
essendo il bronzo un metallo molto pregiato per gli antichi (che
ne apprezzavano durabilità e resistenza), ecco che aestimus
sta per il “più prezioso, il più degno di essere apprezzato”.
E alla luce di questa breve esposizione etimologica, possiamo
facilmente comprendere come l’autostima sia una valutazione
necessaria verso sé stessi in cui riconoscere la propria unicità, il
proprio valore e di conseguenza l’inalienabile diritto di essere
trattati con rispetto e dignità.
Finché non si è in grado di acquisire questa consapevolezza, il
rischio di restare vittime di manipolazioni affettive e relazionali in
genere è altissimo. Anzi, si seguiterà a rappresentare proprio le
prede ideali per quesi soggetti patologici che vanno sotto il
nome di narcisisti.
Il lavoro da compiere, il percorso da affrontare, non sono
semplici: molto spesso è necessario affidarsi a un
professionista, a un terapeuta in grado di aiutare il paziente a
tirare fuori da sé quell’odio, quell’ostilità verso di sé che è così
ben radicata, in genere fin dall’infanzia, a causa di traumi
affettivi e mancanze d’amore da parte dei genitori, da aver
scavato un solco molto profondo nella psiche.
È del tutto naturale, quando si decide di mettere fine a una
relazione malata, nutrire timori, angoscia: la paura di dover
riconoscere a sé stessi di aver lasciato a un’altra persona la
possibilità di maltrattarci, di ferirci, di manipolarci a suo
completo piacimento, ebbene, rappresenta un ostacolo non da
poco, inizialmente più invalicabile della sofferenza e del dolore
stesso che si sta iniziando a comprendere di aver provato per
anni.
La dipendenza affettiva, la cosiddetta fame d’amore, sono
catene da cui è arduo svincolarsi senza provare il timore del
salto nel vuoto: benché consapevoli di essere dentro a una
situazione nociva, al limite del letale, spesso si resta inerti e
incapaci di uscire dalla gabbia perché ci si continua a chiedere
come potrebbe essere la relazione se solo lui/lei cambiasse.
La tentazione di concedere continuamente nuove chance al
partner aguzzino è sempre dietro l’angolo.
Ma le menzogne eisistenziali sono il velo che impedisce di far
prevalere il ben più sano “principio di realtà”, quello che
dovrebbe farci vedere le cose per quello che veramente sono,
anche quando sono sgradevoli o terrificanti.
Nessuno forse ci insegna ad amare noi stessi: sovente, siamo
sin da bambini spinti all’abnegazione, all’amore verso gli altri, al
sacrificio che, ben inteso, sono sentimenti nobilissimi, finché
però non comportino l’annullamento di sé per gli altri.
Amare sé stessi non significa diventare egoisti: quando è sano,
l’amore verso di sé, nutrito da un’equilibrata autostima, da una
parte rappresenta semplicemente un limite che poniamo alla
libertà altrui di approfittare della nostra disponibilità e generosità
(in amore come in amicizia), di prevaricarci; dall’altra ci
consente di amare gli altri in modo maturo, ovvero
considerando i rapporti affettivi e relazionali come un
arricchimento reciproco, nel rispetto dei limiti e dei bisogni
dell’altro, nutrendo il percorso di crescita da fare insieme con il
desiderio del benessere costante dell’altro.
Non certo, come avviene invece nelle relazioni tossiche, con lo
scopo di appropriarsi dell’altro, di cancellarlo, di succhiarne ogni
energia per alimentare quell’inutile e vuoto autocompiacimento,
che è lo specchio del vuoto che alberga nel cuore e nella mente
di un narcisista.