Roma 17 novembre 2023
A cura del dott. Marco Salerno
Erich Weisz, meglio noto col nome d’arte di Harry Houdini,
divenne celeberrimo con i suoi spettacoli di illusionismo e
soprattutto come uno dei più funambolici artisti dell’escapologia,
forma di intrattenimento che consiste nella capacità, da parte di
un prestigiatore, di liberarsi da svariate forme di costrizione
fisica (come ad esempio, corde, cinghie, gabbie) o anche
ambientale (quali celle, stanze cieche).
Le sue strabilianti fughe da ambienti o situazioni
apparentemente impossibili e non prive di rischi anche mortali,
lasciavano a bocca aperta gli spettatori che accorrevano
stupefatti alle esibizioni sempre più ardite del mago austro-
ungarico.
Ma perché parliamo qui di questo illustre signore, che ancora
popola la fantasia di chi ama certe arditezze spettacolari?
Ebbene perché tutti noi dovremmo imparare a spezzare le
molte catene che spesso e volentieri ci ingabbiano e ci
impediscono di realizzarci o anche semplicemente di fuggire da
prigioni mentali e relazionali che intossicano le nostre vite.
La questione è che prima di tutto dobbiamo saperli individuare e
riconoscere, questi vincoli che ci intrappolano, e soprattutto
capire che, a differenza dei palcoscenici e dei teatri in cui si
esibiscono gli illusionisti come Houdini, per evadere dai nostri
oppressivi recinti mentali non esistono trucchi magici.
Le trappole mentali sono quanto di più subdolo possa agire nel
nostro inconscio: ci cadiamo dentro e ci restiamo imprigionati
quasi senza rendercene conto.
Sono autentiche barriere che impediscono di agire per liberarsi
di una relazione avvelenata dalla manipolazione, o per
cambiare vita, attività lavorativa o quant’altro renda l’esistenza
quotidiana un calvario più di quanto non sia inevitabile.
Molto spesso una coppia in cui ormai ogni forma di sana
complicità, dialogo, intimità sia esaurita, non trova il coraggio di
porre fine alla convivenza quando si è in presenza di figli, più o
meno piccoli o adolescenti, per paura che questi ultimi possano
risentire negativamente della separazione dei genitori.
In realtà è esattamente il contrario: far vivere i figli in un
contesto di continuo scontro o anche, al contrario, di lugubri
silenzi scaturiti dall’indifferenza reciproca, non farà altro che
alimentare una pericolosa e insana concezione della relazione
affettiva che potrebbe fatalmente portare a una replica in età
adulta del vissuto familiare.
Ma anche il senso di solitudine che paradossalmente molte
persone sperimentano pur stando in coppia è una pericolosa
trappola mentale dalla quale non sempre è facile uscire.
Sono tanti coloro che preferiscono trascinarsi stancamente e
con un senso di progressivo avvilimento in una dinamica
relazionale nella quale ravvisano solo trascuratezza e
indifferenza da parte del partner, sia sotto il profilo psicologico
che fisico.
La depressione che pian piano si impadronisce del corpo e
della mente diventa fonte di malesseri di ogni genere: spesso
alcune improvvise manifestazioni psicosomatiche vengono
sottovalutate da chi ne soffre, quando invece sono l’evidente
segnale di una situazione che non funziona e che bisognerebbe
trovare il coraggio di affrontare a viso aperto, prima che
diventino dei veri e propri disturbi mentali o malattie.
Altre persone invece sono prigioniere del proprio vuoto interiore,
che non riescono a fronteggiare, anzi, tendono a eluderlo
(illudendosi di avere il sopravvento) riempiendolo con
ossessioni di vario genere, a partire magari da compulsioni di
vari genere, alimentari o di acquisto di cose del tutto superflue.
Ma ciò che momentaneamente procura piacere, come una
droga che per qualche istante doni sollievo a una mente
inquieta, necessita di essere continuamente alimentato e
replicato, spingendo chi è vittima di una simile trappola mentale
in un loop senza fine, del tutto inefficace a placare la sete di
pienezza che tormenta l’individuo insoddisfatto.
Al contrario, è assolutamente necessario guardare in faccia e
confrontarsi con i propri aspetti irrisolti, con i pensieri negativi,
prima che questi ci isolino da noi stessi e dagli altri.
L’isolamento comporta a sua volta una progressiva tendenza ad
accusare il mondo esterno di ogni disgrazia o sventura, o
semplicemente di qualsiasi cosa non vada nella nostra vita, col
risultato di ritrovarsi poi seriamente soli, senza nessuno che
voglia più trascorrere anche solo del tempo con noi.
Occorre prendersi la responsabilità dei propri fallimenti, piccoli o
grandi che siano: il vittimismo è un’altra subdola trappola che
impedisce di riconoscere in noi stessi anche la fondamentale
possibilità di trovare la chiave per spezzare le catene, per uscire
dalle sabbie mobili.
Ammettere di essere imperfetti e, nei confini di un’equilibrata e
sana autostima, accettarci per quel che siamo, mettendo a
frutto i nostri talenti, accettando i nostri limiti, superando la
paura paralizzante di non farcela, significa mettersi sulla buona
strada per camminare fra le asperità della vita con libertà di
spirito e quella leggerezza che non significa affatto
superficialità, bensì consapevolezza del giusto peso che va
dato ad ogni ostacolo che si frappone fra noi e i nostri aneliti di
realizzazione personale.
Spesso, di fronte a un obiettivo che si vuole raggiungere, scatta
un meccanismo inconscio per il quale due opposte tendenze si
affrontano, in lotta fra loro: una che spinge ad ottenere lo scopo
prefissato e l’altra che ci paralizza nel timore di non riuscire
nell’intento.
Ma l’individuo è sempre libero di scegliere (salvo ovviamente
impedimenti esterni imprevedibili o comunque ineludibili) fra
l’atteggiamento positivo propositivo e quello negativo frenante.
Ecco dunque che è necessario prendersi la responsabilità di
questa scelta, e non proiettare su elementi esterni, o
comunque estranei a sé stessi, le probabilità di successo o
insuccesso di una iniziativa personale.
In conclusione, alimentare una salubre autostima, o amore
verso noi stessi, limitando o eliminando del tutto il vittimismo, la
tentazione di puntare il dito sempre in direzione esterna a sé
per trovare la causa dei nostri fallimenti, o di cercare in
continuazione l’approvazione altrui come conferma della
giustezza delle nostre azioni, attingere invece alle nostre risorse
interiori, trasformando la paura preventiva e pregiudiziale
dell’insuccesso in energia fattiva e costruttiva, tutto ciò ci
permetterà di svincolarci dalle infide pastoie dell’inconscio che
ci vorrebbe incatenati sul fondo del mare, quando invece
potremmo sorprendere noi stessi e gli altri con l’agilità di un
prestigiatore pronto a conquistare le luci della ribalta.