Roma 13 gennaio 2014
a cura del dott. Marco Salerno
Alcuni mesi fa mi sono imbattuto in un articolo sull’Huffington Post che mi ha molto colpito perché raccoglieva le testimonianze di Bronnie Ware, infermiera che assisteva malati terminali, per Unbounded Spirit . E’ emerso che i rimpianti più frequenti per molti malati sono stati quelli di avere perso tempo ad inseguire obiettivi effimeri che non hanno permesso loro di stare in contatto con sé stessi e con i propri desideri più profondi. I cinque rimpianti più frequenti sono:
a) Avere il coraggio di vivere la propria vita e di realizzare i propri sogni: troppo spesso ci adattiamo e ci perdiamo compiacendo chi ci circonda senza mai chiederci come realmente vogliamo vivere. Prendiamo in prestito mille scuse e giustificazioni, tra cui “è più facile a dirsi che a farsi”, “non è facile”, “la crisi”, ecc. Siamo sprovvisti della capacità di guardarci dentro e prendere il coraggio a quattro mani per chiederci: “se questo fosse l’ultimo giorno della mia vita lo avrei vissuto così?” Proviamo a porci questa domanda e a vedere se la risposta che ci diamo ci soddisfa, non dimenticando che non abbiamo un tempo infinito a disposizione.
b) Lavorare di meno: renderci conto di avere investito la maggior parte delle nostre energie nel lavoro, nel fare carriera, inseguendo il riconoscimento del nostro valore esclusivamente attraverso la crescita professionale. A questo punto alcuni potrebbero muovere l’osservazione che senza lavoro non si sopravvive, ed è vero ma il problema ormai è aver fuso e confuso l’ambito lavorativo con quello personale, privandoci degli spazi e del tempo che potremo dedicare a chi amiamo, in primo luogo a noi stessi.
c) Avere il coraggio di esprimere i miei sentimenti: esprimiamo quello che proviamo per il puro piacere di comunicare le nostre emozioni e di condividerle. Sfortunatamente molte persone affogano nel risentimento e nella rabbia, cariche di aspettative nei confronti di chi le circonda. Anche qui qualcuno potrebbe dire che il mondo è popolato di persone meschine ma se continuiamo a piangerci addosso e a commettere gli stessi errori, rapportandoci continuamente alla medesima tipologia di persona con le stesse modalità relazionali non possiamo fare altro che prendercela con noi stessi. Abbiamo la possibilità di decidere di diventare più consapevoli su chi siamo e su cosa vogliamo e non ultimo di concederci il tempo per conoscere una persona, distinguendo la nostra fantasia dalla realtà.
d) Rimanere in contatto con gli amici vecchi, sceglierli ed intrecciare nuove amicizie: coltivare le vecchie amicizie e anche le nuove aiuta ad alimentare il senso di connessione con il mondo e consente di arricchirci umanamente. E’ importante anche saper stare da soli e vivere una solitudine genuina per sviluppare l’intimità e il contatto con sé stessi ma è altrettanto vitale rifocillarsi dalle persone con cui scegliamo di accompagnarci. Impariamo a riconoscere le persone con cui vogliamo stare insieme, a cui dedicare il nostro tempo, a ridurre al minimo indispensabile i contatti con chi non ci piace ma con cui dobbiamo relazionarci per necessità.
e) Essere più felici: quest’ultimo punto è il più complesso, perché immaginiamo che la felicità sia uno stato che “arriva” ma che non è possibile scegliere. Siamo infelici ogni qual volta non possiamo scegliere, quando ci mortifichiamo, quando ci pieghiamo per il quieto vivere, quando le paure ci sovrastano e noi non facciamo nulla per guardarle in faccia mentre ci sentiamo sempre più schiacciati. La felicità è una conquista, e non si può essere felici se non si cambia quello che ci sta stretto. Cambiare comporta abbandonare il vecchio, affacciarsi sulla finestra della nostra vita e guardarla attentamente, ascoltare le nostre sensazioni ed emozioni ed iniziare a camminare. Felicità ed immobilità non vanno d’accordo!
http://theunboundedspirit.com
Huffington Post
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