+393474661496 Via della Frezza 44, 00186 - Roma dottmarcosalerno@gmail.com

Natale: tempo di gioia o di vecchi dolori? Come ridurne il peso e intensificarne il valore.

“Natale: tempo di gioia o di vecchi dolori? Come ridurne il peso e intensificarne il valore”.

Dott. Marco Salerno 23/12/2012

Natale tempo  di gioia, di condivisione e di regali? Non per tutti sembra. Un famoso drammaturgo irlandese, G.B. Shaw lo definisce una atroce istituzione, dove tutti sono “obbligati” ad andare a cene con famiglie che non vedono mai, si indebitano per fare compere, per fare regali a persone che sentono raramente, sottoponendosi ad uno degli stress più forti dell’anno. Inoltre ci si mette anche la crisi che costringe a ridurre le spese, acutizzando ancor di più la sensazione di impotenza di rendere felici chi si vuole bene perché non è possibile inondarli di doni. Il clima di gioia artificiosa, imposto in largo anticipo con una pubblicità martellante che spinge sempre più ad acquistare, di certo non aiuta a liberarsi da questa spirale diabolica che  stritola molti completamente.

Il Natale è una pietra miliare, un rito di passaggio durante il quale siamo costretti a fare un bilancio dell’anno che sta volgendo a termine, per cui spesso il confronto tra il nostro vissuto e la felicità irreale che ci viene proposta crea un vuoto spesso inaccettabile, da cui ne usciamo sempre a pezzi. Oltre ad essere un rito, diventa un incubo che matematicamente esaspera lo stato d’animo di ognuno di noi, costretti a passare per la strettoia degli affetti sperando che qualcosa quest’anno miracolosamente vada meglio dei precedenti. In questo periodo chi soffre di disturbi dell’umore vede ancor più acutizzati i propri stati d’animo, possono nascere o aggravarsi degli stati depressivi, poiché ci si può sentire inadeguati rispetto al clima di gioia patinato e poco autentico. I contesti familiari diventano dei veri campi di battaglia affettivi dove ognuno, pur volendo essere riconosciuto, ricopre troppo spesso un ruolo immutabile anche se cresce, cambia e si evolve, come se non arrivasse mai il momento e il diritto di rinnovarsi e di scegliere se partecipare liberamente a questa festa.

L’anomalia creata durante il Natale è una sorta di artificio affettivo secondo cui in questi giorni si dovrebbero sospendere le tensioni e i vuoti che ognuno porta con se. Per fortuna ci pensa il nostro corpo a ricordarci se le scelte che facciamo sono buone per noi, mandandoci segnali fisici di ogni genere che rivelano agitazione e tensioni, tra cui i più diffusi sono le  sensazioni di nervosismo e di ansia, i disturbi gastrointestinali, pruriti, arrossamenti, torcicollo, cistiti. L’organismo esprime la nostra storia familiare e la rivive quando ci mettiamo in una situazione emotivamente dannosa, poiché riemergono conflitti sopiti, i sensi di colpa ci arrivano in piena faccia come un pugno, amplificando la rabbia e la tristezza dovuta a quello che vorremo fare  e che non sempre siamo in grado di realizzare. In psicologia clinica si parla di “sindrome depressiva natalizia” rintracciata per la prima volta in uno studio svolto nel 1981 in America (Feelings about Christmas, as reported by psychiatric emergency patients, Velamoor, Varadaraj et al) che evidenzia come i pazienti riferiscano che gli stati d’animo più frequenti durante il periodo natalizio siano il senso di solitudine, il sentimento di mancanza di una famiglia, i ricordi e preoccupazioni economiche. Emergono emozioni legate a eventi del passato che non sono stati elaborati e che si ripropongono sotto forma di conflitti familiari, di ricordi infantili passati, di relazioni irrisolte e di ricorrenze che a volte riportano a un tempo che non esiste più.  Il paradosso più folle di questa ricorrenza è che, pur essendo una occasione in cui l’amore dovrebbe essere il protagonista assoluto, non si tollera chi non è allineato con il clima di gioia e di felicità proposto ad oltranza, per cui chi non si adegua è fuori dal gioco. Questo approccio non fa altro che deteriorare gli stati d’animo di chi prova tristezza e malinconia, poiché determina una percezione di inadeguatezza rispetto al contesto.

Per uscire indenni dalle prossime festività ci sono alcuni semplici accorgimenti da tenere presenti che possono aiutare ad affrontare i momenti di difficoltà. Quando avvertiamo il senso di colpa per non essere contenti come gli altri o non adeguati al clima natalizio, sentiamoci liberi di condividere queste sensazioni con chi vogliamo, parliamone liberamente senza reprimerle. È molto più costruttivo accettare i propri stati d’animo e viverli piuttosto che rimuoverli e indossare un abito emotivo che non ci si addice in quel particolare momento. Chiediamoci non solo cosa non ci piace del Natale ma recuperiamo anche quegli aspetti dimenticati collegati a questo evento che possono richiamare ricordi piacevoli. Piuttosto che rimuginare su quello che non vogliamo, tentiamo di crearci un’alternativa valida, attendere passivamente che questo periodo di festa passi, costituisce uno spreco di tempo prezioso della nostra vita. Fuori dal nostro mondo c’è sempre qualcuno che ha bisogno di aiuto, il vecchio adagio “c’è sempre chi sta peggio” a volte aiuta soprattutto quando anche un semplice gesto costituisce un grande aiuto per chi lo riceve. Il consumismo sfrenato ci porta anche ad indugiare troppo in pranzi e cene che più che essere momenti di convivialità diventano occasioni per riempire vuoti con quantità di cibo che danneggiano il nostro organismo. Bilanciamo la nostra alimentazione e cogliamo anche l’occasione per riprendere il contatto con la natura che spesso perdiamo, vivendo in aree urbane dove gli spazi verdi sono ridotti al minimo. Dipende esclusivamente da noi come scegliamo di vivere questo Natale, se vogliamo veramente renderlo diverso dai precedenti e riempirlo di significato, recuperiamo il senso profondo dello scambio e della condivisione che troppo spesso è sostituito da un bisogno compulsivo di riempire facendoci sentire in realtà sempre più vuoti.

Il lavoro non bussa alla porta. Arriva il consulente per l’autoanalisi

“Il lavoro non bussa alla porta. Arriva il consulente per l’autoanalisi”

La necessità di riposizionare sul mercato del lavoro un grande quantitativo di risorse temporaneamente inattive a causa di licenziamenti, ha reso necessario sviluppare strategie utili a riqualificarle e a favorirne nuovamente la ricollocazione.

Questo nuovo assetto ha rivoluzionato il modo adottato fino ad oggi di cercare lavoro, poiché sollecita ad abbandonare un atteggiamento attendista che alimenta solo una sensazione di impotenza, stimolando a mettersi in gioco proattivamente.

Le realtà organizzative che sposano questa nuova prospettiva, ricorrono sempre più frequentemente al supporto delle società di outplacement che valutano la modalità di ricollocare il lavoratore licenziato su nuovi mercati professionali, aiutandolo a superare questo momento doloroso, carico di angosce. E’ fondamentale chiarire che dette società non gestiscono ne la fase di uscita della risorsa da una organizzazione ne il suo nuovo collocamento in un’altra azienda.
Esse forniscono al cliente una consulenza sia per favorire il processo di autoanalisi attraverso cui individuare le aree professionali da riqualificare sia per ridurre al minimo il tempo di attesa prima di rientrare nel mondo lavorativo.

Il curriculum è ok, ora il colloquio. Trucchi e segreti per mettersi in gioco

“Il curriculum è ok, ora il colloquio. Trucchi e segreti per mettersi in gioco”

Quando finalmente arriviamo al colloquio di selezione significa che il nostro c.v. è stato non solo convincente ma è anche in linea con i criteri di ricerca dell’azienda, per cui abbiamo finalmente la possibilità di metterci in gioco, di raccontarci e di valorizzare tutte le nostre capacità per dare un’immagine di noi coerente, completa e realistica.
Dobbiamo imparare a gestire in un’ora o anche meno questa opportunità, poiché la prima impressione che il nostro interlocutore avrà di noi, accompagnerà tutto il colloquio e potrà essere difficilmente modificata. Per questo è importante tenere presenti alcuni semplici accorgimenti come raccogliere informazioni sull’azienda e sul potenziale datore di lavoro, usare un abbigliamento sobrio per il colloquio e adottare sempre le regole della buona educazione.

Prestiamo sempre attenzione alle parole del selezionatore e usiamo un linguaggio chiaro per comunicare le nostre caratteristiche, competenze e la nostra motivazione. Inoltre prepariamoci a rispondere alle domande dell’intervistatore né in modo troppo sintetico né troppo prolisso, non trascurando il fatto che possiamo farne alcune sul lavoro in questione qualora le informazioni forniteci non siano del tutto chiare. In ogni caso evitiamo di fornire un’immagine distorta di noi, superiore a quella reale o anche di sottovalutarci e soprattutto di parlare male di ex colleghi o datori di lavoro. Il colloquio è una situazione in cui il candidato offre la sua professionalità  e non è li per elemosinare un lavoro.
I colloqui di selezione si suddividono in due tipologie: individuale e di gruppo. Il primo si svolge con un singolo candidato e  può ripetersi più volte con interlocutori diversi a seconda della dimensione dell’azienda. Di solito il tono dell’intervistatore può variare in base al settore di attività  e alle caratteristiche ricercate nel candidato per sondare le sue reazioni. Oltre a verificare le competenze tecniche, il selezionatore valuta se la potenziale risorsa può portare con se positività, dinamismo ed energia nel contesto e se sarà in grado di affrontare le sfide.

Il colloquio di gruppo o assessment center invece si caratterizza per la presenza di più candidati (5-10) esaminati contemporaneamente da più selezionatori. La finalità del colloquio di gruppo è osservare la modalità di comportamento del singolo all’interno di un team mentre affronta prove di varia natura basate su fatti di cronaca, problemi sulla gestione aziendale, significati attribuiti al lavoro. Con questa tecnica si misurano diverse attitudini tra cui la leadership, le abilità relazionali, l’abilità di negoziazione, la capacità d’ascolto, decisionale, di gestione del conflitto e quella di sostenere e argomentare i propri punti di vista. Inoltre durante le prove di gruppo possono essere somministrati anche test logici, attitudinali e di personalità con l’obiettivo di costruire un profilo completo dei candidati e di eliminare quelli non ritenuti idonei.

Il licenziamento annulla un progetto di vita. L’effetto? Ansia, e pericolo autodistruzione

“Il licenziamento annulla un progetto di vita. L’effetto? Ansia, e pericolo autodistruzione”

Gli effetti della congiuntura economica mondiale continuano a riflettersi sul mercato del lavoro sotto forma di licenziamenti rendendo i posti di lavoro fortemente instabili. La precarietà è uno spettro che si aggira ancora troppo frequentemente nella nostra società, determinando gravi conseguenze sul piano psicologico e sociale di chi ne è investito. La crisi lavorativa mette in discussione le proprie certezze esistenziali poiché le persone si ritrovano di fronte all’esigenza di adattarsi continuamente ad una società in continuo cambiamento senza giungere mai ad un livello di stabilità che consenta di decidere in autonomia della propria vita.
Essere licenziati può far saltare ogni equilibrio, provoca uno stato di profonda insicurezza che coinvolge l’aspetto economico, l’autostima e la dignità dell’individuo, portandolo a dubitare delle proprie forze e della capacità di mantenere se stesso e la sua famiglia. Tra gli effetti più devastanti vi è l’annullamento di un progetto di vita e dell’identità personale poiché viene meno il ruolo rivestito nella collettività. Quando i cambiamenti non sono voluti ma subiti, provocano in chi li vive un senso di impotenza e di incapacità. Pur combattendo in ogni modo per mantenere il posto di lavoro, la battaglia può non andare a buon fine per cui la sconfitta è particolarmente dolorosa poiché il senso di impotenza si amplifica a dismisura.
Le conseguenze psicologiche più evidenti sono l’ansia e la depressione, causate dall’improvvisa mancanza di stabilità e di punti di riferimento. Quando una persona investita dal licenziamento manifesta improvvisi cambi dell’umore rispetto ai comportamenti abituali e assume un atteggiamento taciturno e chiuso, deve destare attenzione in chi la circonda, poiché non sono da escludere possibili reazioni estreme per una situazione divenuta insostenibile. Una utile risorsa per far fronte a questo stato, è costituita dal mantenimento delle relazioni sociali che aiutano a non sentirsi soli di fronte alle difficoltà e ad essere supportati emotivamente.
Per superare questa situazione e non scivolare nell’autocommiserazione e nella rassegnazione, attribuendosi la causa della perdita del lavoro, è utile viverla come una opportunità di cambiamento e di esplorazione di nuove possibilità professionali. Focalizzarsi sulle inevitabili difficoltà non determina altro che l’amplificazione di una condizione difficile da attraversare, rischiando di precipitare in un vortice autodistruttivo. Pur di non aspettare passivamente l’arrivo di un nuovo lavoro, è possibile esplorare strade differenti come prendere parte a un corso di ri-orientamento al lavoro o di counseling, attraverso cui fare un bilancio delle competenze maturate fino ad oggi e comprendere meglio come pilotare la ricerca di un nuovo impiego. Ritornare ad imparare attraverso corsi di formazione consente l’acquisto di nuove competenze e permette di scoprire e di valorizzare alcune potenzialità personali fino ad oggi inesplorate.

“In due pagine il nostro biglietto da visita. Nella rete l’incontro tra chi cerca e chi offre”

“In due pagine il nostro biglietto da visita. Nella rete l’incontro tra chi cerca e chi offre”

Articolo scritto per Affari Italiani il 1 ottobre 2012 (http://url2it.com/qbmc)

Il curriculum vitae è la fotografia della nostra esperienza professionale e costituisce il biglietto da visita con cui ci presentiamo al potenziale datore di lavoro. È fondamentale suscitare una ottima prima impressione attraverso un c.v. e una lettera di presentazione redatta correttamente, rispettando alcune linee guida fondamentali dalle quali è preferibile non allontanarsi.
Esistono due tipologie di c.v.: quello europeo, la cui forma è molto strutturata e ripetitiva, da usare solo nei casi in cui sia richiesto esplicitamente e quello personalizzato, un documento individuale che comprende le informazioni pertinenti al proprio percorso professionale. Il c.v. personalizzato è costituito da sei sezioni: dati personali, istruzione, esperienze professionali, conoscenze linguistiche, competenze informatiche ed interessi. La prima sezione contiene i riferimenti biografici mentre la seconda comprende le informazioni sugli studi, elencati dal più recente (master, laurea, diploma) al meno recente.
Per quanto riguarda le esperienze professionali evidenzieremo la data di inizio e di fine di ogni lavoro, l’azienda, la funzione, il ruolo ricoperto ed infine la descrizione delle specifiche attività svolte. Inoltre è consigliabile precisare i risultati raggiunti e i progetti speciali seguiti. La sezione informatica e quella linguistica comprendono la descrizione dei relativi temi specificandone il livello di conoscenza.
Infine negli interessi sono inserite le attività praticate nel tempo libero o non formalizzate attraverso un titolo o un attestato. Tale sezione non è meno importante delle precedenti poiché fornisce utili informazioni sulla sfera privata del candidato che costituiscono il “valore aggiunto” di potenziale utilità per la realtà per la quale ci si candida. Il c.v. non deve superare la lunghezza di due pagine poiché se troppo prolisso l’attenzione del valutatore tenderà a diminuire.
È fondamentale aggiungere anche una la lettera di presentazione nella quale decliniamo la nostra motivazione a ricoprire un determinato ruolo ed evidenziamo gli elementi chiave della storia professionale, i risultati ottenuti, le competenze manageriali sviluppate. Possiamo infine veicolare il cv attraverso molteplici canali, tra cui l’autocandidatura, proponendo la nostra collaborazione alle realtà con cui ci piacerebbe lavorare o rispondendo ad annunci di lavoro pubblicati sul web o su giornali da aziende o da società di selezione del personale o contattando direttamente le società di selezione o di head hunting, per individuare le offerte che meglio si adattano al nostro profilo professionale. Inoltre vi è anche la possibilità di partecipare a concorsi nella pubblica amministrazione dove il nostro cv viene valutato in base a titoli ed agli esami sostenuti.

“Esplorare la professione per capire, ma il segreto resta la rete.. di contatti”

“Esplorare la professione per capire, ma il segreto resta la rete.. di contatti”

Articolo scritto per Affari Italiani il  24 settembre 2012

a cura del Dott. Marco Salerno  ( http://url2it.com/qbmc)

Nonostante i continui cambiamenti che investono il mercato del lavoro, continua ad essere diffusa l’idea secondo la quale esiste una professione ideale che corrisponde perfettamente ai canoni immaginati. Per evitare di rimanere intrappolati in questa fantasia, alla quale solitamente segue una forte disillusione, è consigliabile confrontarsi con la realtà e raccogliere il più grande numero di informazioni possibile riguardanti la professione a cui aspiriamo.
Questa attività di documentazione ci consentirà di conoscere e valutare i ruoli che il contesto professionale di nostro interesse potrà offrire, di focalizzare l’attenzione sulle posizioni che potremmo ricoprire con la nostra esperienza professionale e di approfondire le procedure indispensabili per la candidatura. Non trascuriamo il fatto che il medesimo segmento lavorativo può comprendere ruoli e posizioni multiple, per cui dovremo individuare l’aerea nella quale sarà possibile ritagliarci uno spazio di inserimento e di crescita professionale.
I contesti da cui attingere tale patrimonio informativo sono svariati, tra cui annoveriamo i siti web, le riviste di settore e i testi tecnici. Durante questa esplorazione è fondamentale adottare un discreto senso critico per verificare la veridicità di tutte le informazioni poiché potremmo anche incontrare qualcuno che non ci da risposte chiare ed esaustive quando chiediamo spiegazioni più dettagliate e approfondite. La mancanza di trasparenza informativa è sintomo di poca professionalità e attendibilità.
Una delle fonti informative più preziose è sicuramente costituita dalla testimonianza di chi sta a stretto contatto con il settore professionale che ci interessa e che potrà aiutarci a fugare molti dubbi. La possibilità di confrontarci con l’esperienza di lunga durata di un addetto ai lavori e di osservare l’ambiente professionale in cui si muove ha un valore inestimabile poiché consente di verificare in prima persona le idee e le informazioni raccolte e di recepire anche validi suggerimenti che altrimenti sarebbero difficili da ottenere.
Infine la creazione di una estesa rete di contatti attraverso il networking facilita sicuramente l’accesso ad una miniera inesauribile di opportunità grazie a cui analizzare con cognizione di causa il mercato del lavoro. Attraverso una fitta rete di conoscenze è possibile carpire utili informazioni e possibilità, incontrare professionisti per raccogliere testimonianze e infine anche venire a conoscenza di annunci di lavoro non divulgati su larga scala. In questo modo saremo in grado di districarci con una certa sistematicità nella giungla delle informazioni da cui siamo inondati quotidianamente, selezionando quelle più utili. Al termine di questa esplorazione saremo sempre noi, futuri candidati e potenziali nuovi assunti, che dovremo decidere se il contesto professionale conosciuto attraverso questo iter informativo soddisfa realmente le nostre aspettative di carriera oppure è poco allineato con le nostre necessità.

Corsi e master aiutano ma non risolvono: “Meglio puntare a stage e tirocinii”

“Corsi e master aiutano ma non risolvono: Meglio puntare a stage e tirocinii”

Articolo scritto per “Affari italiani” il 17/09/2012   http://alturl.com/hwjzm

a cura del Dott. Marco Salerno

La carenza cronica di lavoro è diventata la piaga del XXI secolo, una folla immensa di persone lo cerca in ogni modo e senza sosta con risultati sempre meno incoraggianti. L’errore principale commesso da molti è che, prima di intraprendere questo viaggio, spesso non verificano se sono dotati di tutti i requisiti necessari per affrontarlo e non hanno piena consapevolezza se sono tagliati per una determinata professione.

Lavoro, la buona volontà non basta più: la parola d’ordine è tornare ad imparare

Lavoro, la buona volontà non basta più: la parola d’ordine è tornare ad imparare

10/09/2012

A cura del Dott. Marco Salerno, Psicologo Psicoterapeuta a Roma

(Articolo scritto per www.affaritaliani.it il 10/09/12; http://url2it.com/pobm )

La ricerca di un impiego è diventata un vero ”lavoro” anzi, un’impresa dagli esiti non sempre certi. Proprio per questa ragione, l’idea più diffusa è che qualunque occupazione che garantisca uno stipendio minimo per vivere, è accettabile.
La realtà dei fatti ci dice però che in Italia il 20% dei posti di lavoro disponibili non è stato ricoperto per mancanza di talenti idonei a svolgere determinate professioni. In altre parole, l’incessante ricerca di lavoro non è né mirata né sostenuta da una adeguata formazione professionale e, non ultimo, è sempre più diffuso un atteggiamento di autocommiserazione che non consente di analizzare correttamente cosa richiede il mercato.
La conseguenza è che ci sono dei profili professionali molto richiesti per i quali non esistono persone adeguatamente preparate. Insomma, il vecchio adagio secondo cui basta la buona volontà per trovare un lavoro o il titolo di studio non funziona più.
E’ fondamentale entrare nell’ottica che un lavoro non vale l’altro ma riconoscere che siamo tagliati per alcuni tipi di professione e non per altri in base alle nostre attitudini, alla formazione e all’esperienza maturata. Inoltre chi cerca lavoro deve adattarsi alle richieste del mercato e non viceversa. Questa nuova condizione potrebbe mettere in discussione la professionalità acquisita qualora non venga più richiesta e imporre di svilupparne una nuova o di aggiornarla quando necessario.
Fissarsi su una sola tipologia di lavoro e non rivedere le proprie scelte professionali impedisce di prendere in considerazione nuove opportunità ed equivale a condannare se stessi o ad una lunga attesa se non ad una disoccupazione permanente. Non si è mai troppo vecchi per imparare un nuovo mestiere.
Una buona dose di determinazione e di volontà è il prerequisito fondamentale per trovare lavoro. Gettare la spugna è diventato un atteggiamento abbastanza frequente, basti pensare che piu’ dell’11% della popolazione italiana disoccupata non lo cerca più.

E’ comprensibile una certa dose di sfiducia, la quale però non aiuta ad affrontare in alcun modo la situazione attuale anzi fa precipitare ancora più in basso l’umore di chi il lavoro ancora non lo ha e neanche lo cerca. Non dimentichiamoci che uno dei requisiti principali richiesti da un datore di lavoro è la motivazione a ricoprire il posto per cui ci si candida. Anche se può sembrare assurdo il bisogno di uno stipendio non è considerato l’unica ragione accettabile per assumere una persona. Il potenziale datore vuole capire se chi si mette in casa è realmente interessato a quella determinata posizione, quanto è propenso ad apprendere e a crescere nel suo percorso professionale. In particolare, un atteggiamento umile e smaliziato allo stesso tempo è percepito come un buon biglietto da visita, perché mette in evidenza non solo la disponibilità ad imparare ma anche una sana ambizione e dedizione al lavoro.

 

“Lavoro, dove e come è fondamentale” Il primo passo è l’identikit personale

“Lavoro, dove e come è fondamentale” Il primo passo è l’identikit personale 

03/09/2012

A cura del Dott. Marco Salerno, Psicologo Psicoterapeuta a Roma

(Articolo scritto per www.affaritaliani.it il 03/09/12; http://url2it.com/pobk )

Il messaggio che imperversa ormai su tutti i mezzi di comunicazione è che il lavoro non c’è! Disoccupazione, cassa integrazione, licenziamenti sono parole che non solo fanno parte del nostro quotidiano ma condizionano ogni nostra scelta lavorativa. Ormai non ci poniamo quasi più il problema se un lavoro può davvero interessarci, l’importane è trovarlo. Questo genere di approccio condiziona profondamente la nostra capacità di scelta professionale, determinando la percezione di un ineluttabile destino da cui è impossibile sfuggire.
In realtà c’è una via di uscita da questo circolo vizioso per trovare un lavoro gratificante dove mettere in pratica il proprio bagaglio di esperienze. Per raggiungere questo obiettivo è fondamentale tracciare, con consapevolezza e lungimiranza, un personale identikit professionale.

Il primo passo è fare un bilancio delle proprie conoscenze e competenze, in altre parole capire cosa abbiamo imparato fino ad oggi a scuola, all’università sul luogo di lavoro, durante il tempo libero e cosa sappiamo fare. Cerchiamo di comprendere effettivamente se per svolgere il nostro lavoro utilizziamo il bagaglio di conoscenze capitalizzato fino ad oggi. In questo modo ci renderemo conto se la professione è in linea con le attività pregresse e con gli studi oppure se non vi è alcun legame con questi. Inoltre non si deve sottovalutare alcuna esperienza, anche quelle che possono sembrare apparentemente irrilevanti e poco importanti, poiché possono rivelarsi utili per identificare il lavoro desiderato.
Successivamente è consigliabile rintracciare le migliori qualità e i valori che ci caratterizzano (preciso, attento, costante, competitivo, onesto, affidabile, ecc.) e i possibili ambiti lavorativi che ci potrebbero permettere di esprimerli. Far emergere le proprie qualità gioca un ruolo chiave nel lavoro poiché permette sia di svolgerlo correttamente sia di raggiungere una soddisfazione personale. Le persone non sono macchine che eseguono ordini ma che in ogni occasione mettono in gioco i propri valori e le proprie idee che influenzano la qualità del risultato. Questo vuol dire che sarà molto difficile appassionarsi e svolgere nel migliore dei modi i compiti assegnati se questi sono in contrasto con i propri valori.

Per completare il nostro percorso non si devono trascurare le esigenze personali in base a cui valutare il tipo di inquadramento e il tempo che si vuole dedicare al lavoro. Per cui è possibile preferire una soluzione full time o part time, un contratto flessibile o uno che dia maggiori garanzie. Più l’ambiente professionale scelto consentirà di rispettare le proprie esigenze e i valori, maggiore sarà la possibilità di svolgere correttamente il lavoro e di sentirsi soddisfatti e realizzati per i risultati raggiunti. Al termine di questa autovalutazione saremo in grado di riconoscere i contesti professionali che più si allineano con le nostre esigenze e di identificare il lavoro più adatto in funzione delle nostre capacità, attitudini e valori.

Pessimismo e senso di fallimento: le nuove malattie dei disoccupati

Pessimismo e senso di fallimento: le nuove malattie dei disoccupati

27/08/2012

A cura del Dott. Marco Salerno, Psicologo Psicoterapeuta a Roma

(Articolo scritto per www.affaritaliani.it il 27/8/12;  http://tinyurl.com/9vf99u2 )

Il tema della disoccupazione dilagante e delle sue catastrofiche conseguenze, non ultimo il gesto disperato dell’uomo che si e’ dato fuoco qualche settimana fa davanti a Montecitorio, culminato con la sua recente morte, continuano a riempire le prime pagine dei quotidiani. Ormai non e’piu’ possibile ridurre questo fenomeno esclusivamente a delle crude cifre ma e’ necessario  valutare attentamente la portata delle conseguenze  sul piano umano, sociale e medico.
La disoccupazione e’ un fenomeno che sta investendo sia chi e’ gia’ all’interno del mercato del lavoro sia chi sta cercando in ogni modo di entrarci anche se con risultati non sempre incoraggianti. Inoltre tale condizione si scontra con il valore attribuito al lavoro, considerato un elemento fondamentale nella vita di ogni persona poiche’ contribuisce a definirne il ruolo all’interno della societa’.
La conseguenza immediata del licenzamento e’ la mancanza di sicurezza economica e la conseguente difficolta’ a vivere o addirittura a sopravvivere, a cui segue spesso la percezione di non avere piu’ un ruolo attivo nella societa’. Il disoccupato si chiede se la causa del licenziamento e’ sua, se ha fatto qualcosa di sbagliato o se poteva lavorare meglio, sentendosi a volte quasi un perdente, attribuendosi le colpe per la condizione che sta vivendo. Sul piano strettamente psicologico avviene un vero e proprio terremoto, i sintomi che caratterizzano il quadro clinico sono l’insonnia, l’alterazione dell’appetito, il senso di stanchezza, pessimismo, ansia, irritabilita’, mancanza di autostima e senso di fallimento. E’ facilmente comprensibile che la crisi economica attuale e le sue conseguenze stanno avendo un impatto enorme sullo stile di vita di chi la subisce in prima persona. Inoltre la perdita del posto di lavoro e’ strettamente correlata alla depressione a cui si associano anche altri disturbi come gli attacchi di panico e l’ansia generalizzata. Contemporaneamente si sviluppano alcune cattive abitudini, cresce l’uso di alcolici e di droghe, i divorzi aumentano, avvengono maggiori aggressioni nella sfera domestica e, a volte si mettono in atto gesti estremi come il suicidio, che e’ la manifestazione di una disperazione ormai insopportabile.
La condizione vissuta dalla persona perde il lavoro, secondo la psicologa californiana R.J. Canter, e’ paragonabile ad essere investiti da un’auto. In effetti la prima reazione e’di incredulita’, poiche’ sembra impossibile che possa essere successo proprio a lei e crede che trovera’ a breve un altro posto di lavoro. Successivamente subentra il pessimismo, si rende conto che le difficolta’ sono piu’ grandi di quelle immaginate e le opportunita’ di trovare un nuovo posto non sono molte. In questa fase e’ fondamentale il supporto della rete amicale e famigliare per aiutare a ridimensionare la percezione personale del problema e per sostenere il disoccupato, alimentando la sua motivazione. Dopo circa nove mesi di disoccupazione entra in gioco uno stato di rassegnazione durante il quale la persona smette di cercare lavoro e si isola sempre di piu’ poiche’ pensa che non ne verra’ mai fuori e inizia a vergognarsi della sua condizione di fronte a familiari ed amici. Alcuni studi di settore hanno anche rilevato che i disoccupati, che svolgevano un lavoro in cui si identificavano molto, soffrono della “sindrome di immobilismo” del ruolo lavorativo. Essi difficilmente riescono ad immaginare di svolgerne un’altro diverso da quello precedente, limitando notevolmente la possibilita’ di reinserimento in un nuovo contesto professionale.