Roma 16 ottobre 2022

A cura del dott. Marco Salerno

 

Parafrasando Raymond Carver, di cosa parliamo quando ci riferiamo all’ equilibrio
interiore? Quando diciamo che una certa persona è “centrata” o meno?
Ebbene, tutto o molto dipende dal rapporto che s’instaura fra quelli che
potremmo chiamare i vari strati della nostra interiorità, quelli che, secondo il
padre della psicanalisi Sigmund Freud, si identificano nell’inconscio, subconscio
e coscienza.
Nel primo (Id) risiedono gli istinti, gli impulsi che possono essere a loro volta
suddivisi in buoni e cattivi, o per meglio dire costruttivi e distruttivi: la pulsione
sessuale (libido) e quella legata alla violenza.
Nel subconscio dimora il Super-Io, regno della morale interiore, del giudizio,
delle regole che in qualche modo sin dall’infanzia ogni individuo assorbe dal
proprio contesto familiare e sociale.
Infine c’è l’Io, che ha funzione precipuamente d’interfaccia fra i tre livelli
(inconscio, subconscio e coscienza, il livello che ci connette alla realtà esterna).
Ed è qui che la questione dell’equilibrio cui accennavamo all’inizio si fa delicata:
quanto più l’Io riesce a calibrare armoniosamente le relazioni fra inconscio e
subconscio, tanto più il soggetto che ne è portatore sarà un individuo in grado di
avere un sano rapporto con la realtà che lo circonda.
Un Io centrato sa riconoscere e gestire la coesistenza di aspetti positivi e
negativi nelle cose e nelle persone con cui entra in contatto, sa riconoscere e
rispettare i limiti etici entro i quali condurre le proprie dinamiche relazionali.

Al contrario, l’Io di un narcisista occulto, patologico, si muove come nel
labirinto degli specchi, in quella famosa scena della Signora di Shanghai di Orson
Welles, in cui il protagonista si confonde nella deformante molteplicità dei
riflessi di se stesso, perdendo ogni punto di riferimento.
L’Io del narcisista è, per così dire, alterato da una visione squilibrata di sé, dal
bisogno di proiettare all’esterno un io ideale, che si è formato ad argine del
vuoto abissale causato a sua volta da un trauma infantile, generato nel periodo
del primo sviluppo, per l’incapacità dei genitori di creare un ambiente salubre
per una corretta maturazione psicologica.
All’origine della patologia narcisistica si rinvengono spesso episodi abusanti, di
vessazione e umiliazione subiti dal bambino (o bambina), o anche di incapacità
(soprattutto da parte della figura materna) di staccarsi dal figlio, di riconoscerne
al momento giusto la necessità di rendersi progressivamente autonomo.
L’Io fittizio e ideale che questo individuo sostituirà a quello reale, e che
crederà in grado di proteggerlo dalle insidie del mondo esterno che teme di dover affrontare,

porteranno il narcisista in nuce a diventare un giorno
quell’adulto privo di empatia e incapace di amare il suo prossimo in modo sano
che tante inconsapevoli vittime e rovine affettive lascerà dietro di sé al suo
passaggio.
Il falso Io del narcisista ha una visione di sé fuori fuoco, quasi superomistica,
alimentato da una sorta di delirio di onnipotenza, ed è corazzato contro ogni
possibilità di provare rimorso o senso di colpa per il dolore arrecato.
Troppo doloroso sarebbe doversi improvvisamente confrontare con la verità
della propria insussistenza, quindi la soppressione del vero sé è l’unica strada che
un narcisista può intraprendere per sopravvivere alla sua fragilità interiore, per
silenziare il conflitto interiore che, viceversa, negli individui sani, permette di
raggiungere una certa maturità umana.
Anestetizzando dunque ogni possibile elemento interiore che possa ingenerare
reale empatia col prossimo e anzi necessitando continuamente di risposte e
dimostrazioni dell’altrui ammirazione che possano nutrire questo Io
artificialmente edificato, il narcisista investe tutte le sue energie nella ricerca di
vittime che soddisfino questo bisogno.

E non gli interessa minimamente instaurare un rapporto di reale reciprocità e
condivisione, in cui un reale profondo coinvolgimento lasci spazio anche
all’assunzione di responsabilità pratiche ed emotive.
Tutto al contrario, il soggetto patologico, grazie a una straordinaria empatia
cognitiva, è in grado di attirare nella sua trappola vittime che, nella appagante
fase iniziale della seduzione, credono di aver trovato un partner dalle
stupefacenti attitudini mimetiche (la famosa, ma sarebbe il caso di dire
famigerata, anima gemella), finché non si esaurisce la spinta propulsiva, allorché
il narcisista non ha più interesse per il partner e inizia a demolirlo o a tenerlo
comunque a distanza.
Pur avendo inizialmente contribuito a costruire una relazione all’apparenza
impeccabile, perfetta (a compensare quella traumaticamente fallace
dell’infanzia), il narcisista occulto non è capace di amare nessuno, con la
conseguenza ineludibile di dover distruggere l’altro, minandone ogni certezza,
lasciandolo preferibilmente affogare nelle sabbie mobili dello sgomento.
L’illusione delle vittime di poter costruire un’intimità sincera e duratura con un
narcisista si rivela fatalmente un’opaca bolla di sapone, ma foriera di danni ben
più evidenti e dolorosi di quella che tanto diverte i bambini quando scoppia.
Il sesso per un narcisista rappresenta semplicemente uno strumento per
aggiogare i partner, e al contempo per trarre dal piacere di costoro un riscontro
soddisfacente alla propria domanda costante di conferme.

La vittima che lo considerasse romanticamente un momento di costruzione del

rapporto cadrebbe in un errore di valutazione fatale.
Difatti il narcisista e il partner, pur utilizzando a prima vista la stessa struttura
grammaticale del linguaggio amoroso, in realtà utilizzano un vocabolario ben
diverso.
Secondo G. Chapman esistono in sostanza cinque “lingue dell’amore”,
attraverso cui una coppia può vicendevolmente comunicare le proprie emozioni:
le parole di affermazione (complimenti, dolcezze verbali o scritte, soprannomi
coniati per rivolgersi esclusivamente al partner); il tempo di qualità (quello
dedicato al partner, per condividere esperienze più o meno coinvolgenti); regali
(o comunque pensieri o attenzioni rivolte al partner); atti di servizio (come
rendersi utili in casa, insomma dare una mano); e, last but not least, il contatto
fisico (non necessariamente od esclusivamente sessuale: anche una carezza
affettuosa o il semplice camminare mano nella mano possono rappresentare una
piacevole dimostrazione d’amore).

Ebbene, quale di queste lingue parla il narcisista occulto?
Se per Chapman ognuno nella relazione ha un linguaggio “dominante” e nella
coppia giova saper interpretare e rispettare quello del partner, per instaurare un
sano e fruttuoso “discorso amoroso”, se si considera che il tratto precipuo della
personalità del narcisista patologico è l’amor proprio, l’ammirazione verso sé
stessi, allora si può ben dire che le “parole di affermazione” siano il suo idioma
preferito. Utile anche per attirare a sé la vittima di turno, nell’iniziale love bombing
cui la sottopone.
Peraltro il narcisista è molto abile a individuare quale sia la lingua preferita dal
partner ed è altrettanto scaltro nel servirsene allo scopo di intrappolarla nel suo
gioco perverso.
L’incapacità a sua volta della vittima di cogliere il camuffamento dietro cui
questi ha saputo celare le sue reali intenzioni, la rende inetta di fronte ai pericoli
dell’inganno.
Per il narcisista è tutto solo un gioco, crudele, freddo.
Innamorato dell’amore e dell’approvazione che la seduzione può provocare,
gode nel sentirsi pronunciare frasi romantiche e sperticate dichiarazioni: ma esse
sono come quinte posticce di una scena che presto vedrà un repentino e drastico
cambio di fondale, in una recita triste su cui purtroppo non sempre cala,
salvifico, un sipario.

 

Bibliografia:

Trevor A., Tutto sul narcisismo occulto