Roma 16 dicembre 2023
A cura del dott. Marco Salerno
“In tanta rabbia, in tanto furor venne,/che rimase offuscato in
ogni senso.”
Così l’Ariosto descrive la cosiddetta “follia di Orlando”, allorché
il paladino protagonista del suo celebre poema cavalleresco
scopre il tradimento dell’amata Angelica.
Tale è l’empito distruttivo della tempesta emotiva generata dalla
gelosia, che il cavaliere, senza bisogno di un’ascia, ma con la
sola forza delle braccia inizia a svellere dal terreno gli alberi
della foresta in cui si trova, quasi fossero stuzzicadenti.
La rabbia è infatti un sentimento potentissimo, in grado di dare
a chi la prova in sommo grado un’energia altrimenti
impensabile, però capace, se non gestita correttamente o
veicolata verso obiettivi positivi, di trasformare un individuo in
un potenziale omicida o comunque in un soggetto
estremamente pericoloso per sé e per chi gli sta intorno.
Stiamo parlando di un sentimento insito nella natura dell’uomo,
che però a differenza degli altri animali, in cui si esaurisce nel
suo essere un potente strumento di difesa o di attacco nelle
dinamiche di contrasto fra individui della stessa o di altra
specie, può invece diventare un’incontrollata arma di
sopraffazione e violenza.
Offuscato in ogni senso, dice il poeta a proposito del furore di
Orlando: dunque la rabbia priva della ragione, l’elemento che
distingue più di ogni altro l’uomo dagli altri animali.
L’ira funesta (del Pelìde Achille, che infiniti addusse lutti agli
Achei, ma non solo la sua) annebbia il cervello, fa uscir di
senno (quello di Orlando lo recupererà Astolfo addirittura sulla
Luna…), fa dunque perdere ogni inibizione, quei freni che ci
trattengono dall’arrecare danni talvolta irreparabili a persone e
cose.
Eppure la rabbia non va demonizzata tout-court: se
correttamente gestita e indirizzata, può rappresentare un
motore di cambiamento, una spinta a modificare ciò che non ci
piace, che ostacola magari la realizzazione di qualcosa di
positivo nella nostra vita, o semplicemente una valvola di sfogo
per non trattenere e reprimere un dolore, che altrimenti ci
soffocherebbe.
L’importante è anzitutto saperla governare, riconoscerne la
potenzialità demolitrice e dunque utilizzarla non per annientare
l’ostacolo radendolo al suolo, ma per superarlo, sfruttando la
funzione motivante della rabbia, che è un potente ed efficace
segnale della presenza di qualcosa che ci sta in qualche modo
frustrando.
E qui entra in gioco la capacità di restare lucidi, di non perdere il
cosiddetto “lume” della ragione, quindi di non spegnere la luce,
poiché al buio si perdono le coordinate e si rischia di andare a
sbattere, di cadere, comunque di farci e di fare del male.
Secondo molti terapeuti la rabbia, appunto ove ben gestita, può
essere uno strumento d’ausilio per risvegliare il desiderio di
agire e di riprendere in mano la vita, dopo un trauma
psicologico che ha viceversa indotto un soggetto all’apatia, alla
depressione.
Ma essere arrabbiati non deve significare automaticamente
essere violenti, investire con la furia e il risentimento che si
covano dentro l’oggetto della propria collera.
Spesso, a seguito di un abbandono, chi viene lasciato prova un
sentimento di rabbia che provoca una reazione che, come
purtroppo anche i recenti terribili fatti di cronaca tristemente
dimostrano, portano al desiderio di annientamento dell’altro.
Quando invece si fosse in grado di tenerla sotto controllo, la
rabbia potrebbe aiutare a superare il comprensibile momento di
smarrimento e di frustrazione che si prova quando ci si sente
respinti o allontanati.
Nei bambini e negli adolescenti, seppur con modalità ed
espressioni differenti, la rabbia rappresenta un segnale,
generalmente rivolto ai propri genitori, per richiamare
l’attenzione e accendere un riflettore potente e inequivocabile
su una mancanza, un bisogno.
È fondamentale che chiunque ne sia il destinatario non replichi
stizzito, fomentando ancor più quella tempesta, spesso
esclusivamente verbale, ma talvolta anche fisica.
Saper attendere il momento giusto, lasciare che la burrasca si
plachi e intervenire per cercare di comprendere cosa ne abbia
ingenerato lo scatenamento, aiutare bambini o ragazzi a
spiegare a loro volta con parole proprie quale sia la fonte della
frustrazione, del risentimento, ebbene, è il modo corretto per
riportare il fiume in piena, dopo l’esondazione, entro gli argini
della ragionevolezza e della serenità mentale.
Certamente, per placare la rabbia, sul momento, possono
anche aiutare delle semplici tecniche di respirazione (espirare
per due tre secondi e prolungare l’espirazione di un paio di
secondi in più), o anche mettere la testa sotto l’acqua fredda.
Ma è chiaro che quel che è davvero necessario è la cosiddetta
“rielaborazione cognitiva”, ovvero cercare di ripensare al fatto,
all’episodio che ha provocato la perdita di senno, per valutarlo
sotto varie prospettive, anche tentando di comprendere il punto
di vista dell’altro, cioè di colui o colei che ci hanno fatto uscire
dai gangheri.
Se riusciamo a capire che magari l’altra persona non aveva
intenzione di arrecarci un danno, che dunque possiamo
escludere una consapevole volontarietà, un dolo (si direbbe in
diritto penale), ma solo una negligente superficialità, una
eventuale disattenzione, potremmo attenuare il senso di rivalsa
e di vendetta, insomma il desiderio di rispondere per pareggiare
i conti.
Perché la rabbia spesso provoca reazioni abnormi rispetto
all’effettivo pregiudizio patito (quando si dice, appunto, passare
dalla parte del torto).
Essere in grado di esprimere il proprio eventuale risentimento
attraverso una verbalizzazione chiara, utilizzando la forza del
linguaggio, è un altro dei sistemi più efficaci per appianare un
contrasto evitando che degeneri in violenza fisica.
Dunque, oltre al controllo immediato nella situazione di stress
emotivo che ingenera la rabbia, è importante avere la capacità
di elaborare l’emozione negativa, non insufflandovi all’interno il
fuoco acceso dall’ira, non facendosi intrappolare da schemi
preconcetti, ma al contrario giudicando la situazione del
momento per quello che effettivamente è.
La precipitazione indotta naturalmente dalla collera, la reazione
istintiva sono pessime consigliere.
Talvolta, passato il momento di furia funesta, mettersi a tavolino
e ad esempio scrivere alla persona che ci ha ferito o comunque
provocato il sentimento di rabbia, senza necessariamente
inviare poi fisicamente la missiva, può rappresentare un efficace
momento e strumento di riflessione, in grado di farci valutare
l’episodio detonatore con uno sguardo più distaccato e dunque
obiettivo.
Quale che sia l’origine della rabbia, o il tipo, ovvero ingenerata
dall’allontanamento o indisponibilità a ricambiare i nostri
sentimenti da parte della persona amata o desiderata,
dall’indignazione per il comportamento altrui giudicato come
intollerabile, o nata assieme all’intento di annientare un
avversario o chi si frapponga alla realizzazione di un nostro
obiettivo, o infine che si innescata da un intento predatorio
(come nel caso della violenza sessuale), essa rappresenta un
indubbio indicatore di forte malessere nell’individuo che la
prova.
E come tale non va mai sottovalutato, bensì dominato, trattato
con cautela, affinché possa trasformarsi in pungolo, in stimolo
per migliorare situazioni che ci creano disagio o anche
sormontare muri di paura, di sgomento di fronte ad ostacoli che
crediamo di non saper affrontare.
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