Roma 18/02/2024

A cura del dott. Marco Salerno

 

Odio e amo. Forse mi chiedi come faccia. Non lo so, ma sento
che accade e me ne tormento.
Così Catullo, nel suo celeberrimo carme, eternava le tribolazioni
della passione, quell’inquietudine che logora chi soffre per
amore.
Una visione che oggi definiremmo “romantica”, perché il
movimento artistico-letterario che si affermò tra la fine del
Settecento e la prima metà del secolo successivo incarnò
proprio gli ideali dell’amore inquieto, in cui la sofferenza è un
elemento essenziale nella dinamica del desiderio inappagato.
Ma chiediamoci se questa immagine dell’amore sia in fondo
salubre, o non comporti piuttosto una distorsione che, pur
nutrendo assai efficacemente la fantasia e le pagine degli
scrittori e dei lettori, in realtà comporta un’insana evoluzione del
rapporto e della relazione.
Perché, lo comprendiamo tutti molto bene, un conto è la
letteratura, altro è la realtà.
Potremmo divertirci tentando di indagare analiticamente la
psicologia di tanti eroi ed eroine dei più famosi romanzi
dell’Ottocento e vi troveremmo spesso i tratti tipici di quelli che
oggi sono definiti soggetti affetti da narcisismo patologico, con
le rispettive vittime sacrificali.
Sicuramente alcune dinamiche di una società fortemente
patriarcale, in cui la donna rivestiva un ruolo secondario, ove
non pressoché ancillare, in cui la prevaricazione maschile era
quasi scontata, purtroppo sopravvivono ancora nella nostra
attuale, e certi condizionamenti sociali, economici, affettivi,
tuttora determinano e condizionano i rapporti d’amore.

Ma questo non basta a spiegare le distorsioni e le involuzioni di
spiccato profilo patologico che caratterizzano tante relazioni,
che disgraziatamente spesso sfociano in esiti violenti e talvolta
fatali per le vittime, come i sempre più numerosi casi di
femminicidio nel nostro Paese (ma non solo) drammaticamente
documentano quasi ogni giorno.
Sovente, alla base di rapporti squilibrati, malati, ci sono delle
ferite affettive che addirittura risalgono all’infanzia e che
determinano, nella vita adulta, una percezione alterata, distorta
delle dinamiche relazionali.

Come purtroppo ben sappiamo, molte volte chi resta
intrappolato in amori tossici, con soggetti patologici, soffre di un
bisogno d’amore che impedisce di valutare con la giusta
prospettiva e con il corretto distacco quei campanelli d’allarme
che invece l’inconscio attiva ad istintiva difesa dal pericolo
imminente.
Se certi segnali restano inascoltati è perché prevale il desiderio
di essere amati, di riempire quel vuoto che, come si diceva
prima, è probabile che risalga a frustrati aneliti d’amore che non
si è ricevuto da uno o entrambi i genitori.
Su soggetti siffatti il seduttore seriale, narcisista, ha buon gioco
a prodursi nei suoi ammalianti inganni, non troverà ostacoli a
frapporsi fra sé e la conquista della vittima designata.
Promette tutto ciò che quest’ultima non aspetta altro che sentirsi
dire, condendo il piatto con sperticate dichiarazioni d’amore, sin
dall’inizio quando, pur in una fase ancora embrionale del
rapporto, sarebbe più naturale una giusta misura nelle
esternazioni.
Ma il narcisista sa che quelle frecce arriveranno dritte dritte a
bersaglio.
La vittima non si rende conto che trattasi di soggetto incapace
di amare, per il quale la preda è solo un oggetto necessario al
proprio approvvigionamento egoico.

In generale, molto spesso le persone hanno una visione
dell’amore egoistica, in cui si confonde l’attaccamento con
l’appropriazione, l’affetto col controllo, la necessità con la
pretesa.
Si cade così facilmente nelle cosiddette trappole d’amore: la
convinzione che per il solo fatto di essere una coppia l’altro
debba comprendere tutte le nostre esigenze, senza che talvolta
gli siano state esplicitate con chiarezza.
L’insicurezza sta alla base di questi erronei atteggiamenti,
perché ci fa sentire immeritevoli di chiedere, quando invece in
un rapporto sano e trasparente non ci si dovrebbe mai
vergognare di domandare, non esigere, ma semplicemente
domandare.
È giusto essere ascoltati e non soltanto soddisfare le richieste
altrui, di chi magari, al contrario di noi, non ha alcuna remora a
chiedere, a far valere le proprie esigenze.
Altra trappola che l’insicurezza porta inevitabilmente con sé e
che inquina il rapporto è la possessività, il bisogno di controllare
sempre e comunque il partner.
Alla lunga questi si sentirà soffocare, privato di quella libertà e
di quella fiducia che sempre dovrebbero improntare di sé le
relazioni sane, che siano d’amore o anche di semplice amicizia.
Ma sono vari gli esempi che si possono fare di amore tossico,
insalubre, dal quale si dovrebbe rifuggire ai primi segnali di
pericolo.
Il problema risiede spesso nel fatto che, non affrontando e
analizzando il dolore e le mancanze che albergano in noi e che,
come dicevamo, sovente traggono linfa da traumi infantili, si
rischia di cadere sempre negli stessi errori e di legarci a
individui che da queste fragilità non faranno altro che trarre
vantaggio, di certo senza curarle, anzi peggiorando la
condizione del ferito.

Fra gli amori tossici per antonomasia ci sono quello cosiddetto
fusionale e quello simbiotico.
In entrambi i casi permane in chi vive la relazione in tale
condizione una sorta di mancato distacco dalla dipendenza
infantile dalla madre, dal genitore cui ci si attacca in quanto
fonte vitale di affetto e sussistenza.
Un sano sviluppo dell’Io dovrebbe condurre ad un graduale
allontanamento e alla formazione di un’identità definita
dell’individuo quando entra nella fase adulta della vita.
Chi non riesce a superare quella condizione di dipendenza
fatalmente la riverserà nei rapporti affettivi, cercando quella
fusione, quella simbiosi nel partner, con ciò creando una
situazione destinata all’inevitabile disastro.
In una dinamica relazionale sana gli ambiti di individualità dei
componenti della coppia sono definiti e devono essere
reciprocamente rispettati, in un clima di fiducia e di
apprezzamento per quanto l’uno e l’altro apportano alla vita
affettiva di entrambi.
Se si instaura viceversa un rapporto di totale dipendenza
dall’altro, tale per cui senza il partner ci si sente vuoti ed inutili,
con una vita priva di senso, ebbene, si finisce per convincersi
che tutta la felicità e la pienezza dell’esistenza siano subordinati
alla presenza di un’altra persona e non invece, come dovrebbe
essere, che prima di incardinare una relazione sarebbe
necessario sentirsi autosufficienti, con un sano grado di
autostima, in modo da fare entrare nella nostra vita solo chi è
capace e pronto ad apprezzarci e a rispettare il nostro ambito di
indipendenza, nonché ad accrescere il nostro benessere
psicofisico attraverso il proprio apporto di individuo a sua volta
centrato e consapevole.
Un amore non deve essere improntato solo alla sofferenza, o
alla passionalità fatta di giochi di potere, tra chi vince e chi
perde, chi fugge per tornare a suo piacimento e chi attende
paziente e rassegnato alle prepotenze: l’intermittenza amorosa
è sempre un segnale inequivocabile del fatto che si sta

giocando col fuoco e che quando questo si spegnerà non

resteranno che polvere e cenere.

 

Credits: www.pierandreaprilo.it