A cura del dott. Marco Salerno
Quando Dante giunge al termine del suo viaggio attraverso l’Inferno conclude la
prima delle tre cantiche della Commedia con il celebre verso: “E quindi uscimmo a
riveder le stelle”.
Il cielo della consapevolezza, con le sue luci finalmente ritrovate, ha come
inevitabile contraltare l’attraversamento della selva oscura rappresentata dalla
perdita dell’innocenza.
Il percorso per arrivare alla verità è irto di ostacoli, è faticoso, ma è il cammino da
affrontare se si vuole superare il trauma dell’abuso subito a causa di una relazione
con un individuo affetto da narcisismo patologico.
Conosciamo già, per averle precedentemente analizzate, le fasi in cui si struttura
la relazione tossica con un aguzzino sentimentale: idealizzazione, svalutazione,
allontanamento o rottura.
E sappiamo che, a seguito di quest’ultima, la vittima resta per un certo periodo di
tempo come inebetita, frastornata, incapace di riprendersi.
Con le residue, scarse energie mentali e fisiche che gli o le restano, tenta
disperatamente di riconquistare il partner perduto, attraverso varie dinamiche,
tutte destinate peraltro al più totale dei fallimenti.
Oltre ad applicare la regola del contatto zero, ovvero evitare in ogni modo di
rivedere o risentire l’ex, il modo migliore per intraprendere la via della guarigione è
quello di iniziare un cammino di ricerca della verità, o meglio ancora di
acquisizione piena di consapevolezza.
La cognizione del dolore (per usare un’espressione gaddiana) è il primo passo per
sanare le ferite.
Comprendere innanzitutto che quel dolore che si è sofferto è stato inferto da un
soggetto psicopatico, privo cioè di quel pur minimo grado di empatia che permette
alle persone normali di immedesimarsi realmente nel prossimo e dunque
impedisce loro di fare del male agli altri esseri umani gratuitamente e per di più
goderne.
La vittima del soggetto abusante, nell’immediatezza della fine del rapporto, prima
ancora che ad autocommiserarsi per essere caduta così in basso, facendosi
umiliare e calpestare, tende addirittura a colpevolizzarsi, convinta di aver
commesso errori (forse rimediabili) che hanno causato la rottura col partner.
Il che comporta appunto quei tentativi di riconciliazione che, viceversa, saranno
solo fonte di perversa soddisfazione per il narcisista, che gode della sofferenza
altrui e nel vedere la propria vittima dibattersi accanitamente nel vano sforzo di
riconquistarlo.
Ecco, il punto è proprio questo: la vittima deve ritrovare fiducia in sé, autostima,
deve riprendere in mano la sua vita e l’unico modo per farlo è comprendere di
aver avuto a che fare con un soggetto psicopatico, che non significa malato di
mente (nel senso clinico del termine), ovvero in sostanza incapace d’intendere e
volere (come si direbbe in gergo giuridico-penale). Tutto il contrario: il narcisista
patologico è perfettamente in grado di comprendere il male che sta infliggendo
alla propria vittima, se ne bea, ne trae piacere, è esattamente ciò che lo spinge ad
attuare i comportamenti perversi che ne caratterizzano l’azione all’interno delle
dinamiche di coppia.
Il problema è che la vittima, “innocente” fino al momento di incontrare un individuo
simile, non riesce a credere che possano esistere soggetti capaci di manipolare a
tal punto le persone, di subissarle di attenzioni, di portarle a convincersi di avere
accanto finalmente l’anima gemella, per poi demolirne ogni certezza, ridurle a
brandelli come un animale feroce e selvaggio.
L’innocenza emotiva e sentimentale consiste proprio in questo: credere che là
fuori ci siano persone altrettanto sensibili come noi, incapaci di utilizzare
scientemente il proprio fascino solo per operare cinicamente il male.
Ma il fatto è che le ombre sono dentro ognuno di noi, tutti alberghiamo una parte
oscura, egoista, insicura, che convive con quella luminosa, altruista e votata al
bene: la differenza fra un soggetto patologico ed uno sano risiede nel fatto che
quest’ultimo, consapevole di poter fare anche del male, sceglie in genere di non
utilizzare queste risorse negative e cerca perlopiù di operare secondo coscienza e
per il bene del suo prossimo, mentre l’individuo tossico non prova rimorso quando
commette atti malvagi, si serve delle propria malvagità senza ritegno.
Motivo per cui le vittime di tali soggetti non dovrebbero cercare di analizzare il
rapporto avuto con essi secondo i parametri della salubrità emotiva: il narcisista
non prova sentimenti positivi, ma soprattutto non prova nulla nei confronti delle
sue vittime quando le vede patire.
Riappropriarsi della propria identità emozionale, essere di nuovo in grado di
amare e aprirsi a nuove relazioni con quella fiducia che si aveva prima del fatale
incontro col narcisista, può essere un cammino molto lungo, ma di certo deve
partire da questa consapevolezza, da questa assunzione di verità: non era la
vittima la metà della coppia sbagliata, pazza, incompleta, come ha tentato l’altra
parte di farle credere, in ogni momento, nella sfibrante fase della svalutazione
personale.
Una volta attraversata l’intricata selva infernale, però, i nuovi rapporti
interpersonali di chi ha subito abusi di questo genere, saranno improntati a una
nuova contezza, a una lucidità interiore che permetterà ai sopravvissuti di captare
e individuare con infallibile acume i campanelli di allarme che li terranno lontani
dagli individui potenzialmente pericolosi e portatori di danni.
I sopravvissuti porteranno sì, incisi nei tessuti del cuore, fra le pieghe dell’anima,
le cicatrici indelebili delle ferite subite, ma saranno anche più sensibili, più attenti e
generosi nei confronti di chi avrà bisogno del loro aiuto e del loro
incoraggiamento.
Come dei veterani di guerra, come coloro che sono usciti, non indenni ma vivi, dal
lungo tunnel dello stress post traumatico, saranno persone più forti, più avvertite
nei confronti delle insidie del mondo.
E non si tratterà di diffidenza, che in fondo è un sentimento che induce a chiudersi
e ad isolarsi, bensì di esperienza maturata sul campo, quella che fa maturare un
essere umano, che lo fa uscire dalle rassicuranti zone di conforto, che lo mette a
confronto con il “lato oscuro della forza”, con i demoni che popolano il mondo
esteriore e quello interiore, che lo porta a riveder le stelle con spirito rinvigorito.
Uno spirito che saprà anche apprezzare la solitudine, il potersi ritrovare faccia a
faccia con sé stessi, con la verità di sé, senza dover sempre cercare
nell’approvazione altrui una ragione di sostegno alle proprie incertezze e paure.
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