Roma 27 giugno 2022
Narra Ovidio che di Narciso, bellissimo figlio di Cefiso e della ninfa Liriope,
s’innamoravano tutte le fanciulle, ma lui ne disdegnava le attenzioni.
Quando un giorno, mentre era a caccia di cervi, incontra una ninfa dei boschi,
Eco che, muta, solo poteva ripetere le ultime parole altrui, fatalmente lei pure
cade vittima del fascino dello splendido giovane. Ma Narciso la rifiuta: più lui
fugge più lei lo insegue, fino a consumarsi e dissolversi nel vento, tanto che di
Eco resta solo la voce.
Però non tarda ad arrivare la punizione degli dèi: Nemesi, dea della vendetta, lo
condanna ad invaghirsi di se stesso, al punto che Narciso a sua volta si perderà
nell’amore per la propria immagine riflessa in uno specchio d’acqua,
nell’impossibilità di trovare appagamento alla propria pulsione.
E nell’acqua, di lui, rimarrà solo il fiore omonimo.
Il mito raccontato nelle Metamorfosi ovidiane è già di per sé un ottimo viatico
per introdurre e spiegare per immagini molto efficaci cosa può accadere quando
si cade vittime di un soggetto affetto da narcisismo patologico, un disturbo che
può presentarsi sotto forme e declinazioni molteplici, ma che presenta alcune
macro caratteristiche costanti.
Così come lo sono anche quelle di chi entra in relazione con i narcisisti.
Costoro, come i vampiri delle leggende e dei romanzi gotici, si nutrono
dell’altro: seducono la vittima accuratamente eletta, infiltrandosi
attraverso le “crepe” aperte delle fragilita’ altrui, s’impiantano
pervasivamente nell’organismo assoggettato, come nei casi di simbiosi naturale,
per poi nutrirsi della sua vitalità fino a ridurla a puro involucro, di cui non
esiteranno a disfarsi per passare ad un’altra conquista.
E lo sdegno del Narciso mitologico nei confronti dell’adorante e implorante
fanciulla di turno è il medesimo del narcisista patologico di fronte all’abbandono
pressoché totale di ogni possibile brandello di autostima che la sua vittima
dimostra, dopo essersi macerata per lungo tempo nell’andirivieni sentimentale
di una relazione tossica.
Il narcisista, abbiamo detto, non sceglie a caso la partner da sedurre: la vittima
deve essere “nutriente”, deve offrire cibo per la mente e l’ego smisurato del
carnefice, ma al contempo deve mostrare degli indizi di fragilità, delle faglie,
nelle quali farsi largo, operare attrattivamente.
Non per caso il termine “seduzione” viene dal latino “condurre a sé”.
Le armi del narcisista sono ben affilate:nella prima fase intuisce diabolicamente
come far sentire l’altro o l’altra al centro dell’attenzione, ne vellica in ogni modo
la vanità, utilizzando un vasto arsenale dialettico e fisico di parole e gesti
ammalianti.
In genere nell’intimità fisica tende a portare il o la partner a dei limiti cui
quest’ultima non aveva mai osato spingersi. Il coinvolgimento e
l’appagamento sensuale e sessuale sono fra gli strumenti più efficaci che il
narcisista utilizza per portare a termine la prima parte della sua azione di
conquista e distruzione.
La seconda fase, che inizia non appena la vittima risulta del tutto irretita,
consiste nell’isolamento cui quest’ultima viene lentamente condotta:
isolamento dal proprio mondo, dai propri affetti, riferimenti, da tutto ciò che
potrebbe inficiare il paziente lavoro di logorio delle difese, necessario al
narcisista per installarsi, come un sovrano assoluto sul trono, nel cuore e nella
mente di chi ha deciso di divorare.
Tutti coloro che, osservando dall’esterno la relazione malata e squilibrata fra
narcisista e partner, potrebbero mettere questi in guardia o alzare il velo di
menzogna diligentemente tessuto dal primo, sono considerati rischi o comunque
ostacoli da eliminare.
Viceversa, quelli che, nella cerchia di relazioni della vittima, non si dimostrano
insensibili, al pari di questa, al fascino del narcisista, vengono entusiasticamente
arruolati per contribuire all’opera perversa messa in atto.
Una volta completata anche questa fase, inizia la terza fase, quella più dolorosa per chi è
caduto nella trappola: l’annientamento.
Il narcisista, attraverso comportamenti altalenanti, che potremmo
grossolanamente rappresentare con l’immagine della carota e del bastone,
frustra ogni slancio del partner che non desidera altro che compiacerlo,
credendo ingenuamente di rappresentare il centro delle sue attenzioni, quando
viceversa è evidente a tutti (tranne che ovviamente alla vittima) che si tratta di
un soggetto egoriferito, che appunto non ha altra immagine da idolatrare che la
propria, per quanto distorta e invertita nell’oscuro specchio della sua mente
malata.
La vittima del narcisista, dopo essere stata fatta inizialmente oggetto di lodi
sperticate, attenzioni al limite del soffocante, quasi d’improvviso viene
demolita, senza che vi sia un apparente motivo valido.
Può anche accadere che il narcisista torni sui suoi passi e che, quasi come se
niente fosse, alla mazzata psicologica distruttiva, alterni qualche nuova
blandizie: lo scopo è minare le certezze della propria vittima, farla sentire come
se in ogni momento potesse affondare nelle sabbie mobili, avendo come unico
appiglio di salvezza proprio colui o colei che l’hanno spinta nel pantano.
Ma dunque chi è la vittima predestinata del narcisista?
Si è detto non certo un persona priva di alcuno spessore, anzi, spesso è il
contrario: si tratta di personalità dotate di talenti, sensibilità, capacità.
Eppure, allo stesso tempo, in genere è qualcuno che durante l’infanzia ha
patito un deficit affettivo e di riconoscimento, soprattuto da parte della
figura materna.
E quel bisogno, fatalmente, quella fame di cure da parte dell’altro, sarà nella vita
adulta il coltello che aprirà le ferite su cui il narcisista, al principio della
relazione apparentemente giunto a proposito per risanarle e suturarle, si getterà
invece a suggerne ogni succo energetico, solo per nutrire il proprio ego, fragile sì
anch’esso, figlio di altre storture relazionali e familiari, ma ben più cinico e
dispoticamente impietoso.
Perciò la vittima del narcisista ha di fronte a sé un bivio: o lasciarsi
svigorire fino alla consunzione, per essere poi abbandonata come un
giocattolo di un infante capriccioso e viziato, o avvertire come insopportabile il
dolore insinuato dal proprio carnefice e trovare il coraggio di
abbandonarlo.
Ove scegliesse questa opzione salvifica, dovrebbe fronteggiare la conseguente
reazione del narcisista, che non potrebbe mai sopportare di essere messo da
parte e combatterebbe strenuamente per cercare di infangare in ogni modo chi
non gli si è immolato fino in fondo.
Picasso, narcisista da manuale, minotauro dagli appetiti inesausti, lasciò fra i
meandri del suo labirinto uno stuolo sanguinante di mogli e amanti, alcune delle
quali uscirono pazze o si tolsero la vita. Una sola, Françoise Gilot, osò lasciarlo,
dopo dieci anni di vita insieme, portandosi via anche i due figli che gli aveva
dato. L’artista le disse: “Nessuna lascia un uomo come me”.
Lei anni dopo scrisse una biografia, in cui raccontò tutto della loro vita, non
tralasciando le ombre di una personalità sì geniale, ma affetta anche da
un’insaziabile fame di dominio. Lui intentò una causa per bloccare la
pubblicazione del libro. Vinse lei. Allora lui la chiamò al telefono, per
complimentarsi, dicendole che amava i vincenti.
In apparenza, un riconoscimento all’avversario, ma forse, in realtà, fino
all’ultimo, la zampata seduttiva del narcisista, anche quando qualcuno l’ha
smascherato e messo di fronte al proprio specchio incrinato.
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