Roma 5 luglio 2022

A cura del dott. Marco Salerno

Il narcisista è come un ragno: tesse abilmente la sua tela per intrappolarvi la
preda, una trama sottile, inesorabile, vischiosa, soffocante.
Ma di cosa è intessuta questa tela per risultare così efficace?
Semplicemente di parole. Eppure, le parole del narcisista sono un’arma letale
per chi vi si abbandona ammaliato.
La fase seduttiva, che come già sappiamo, rappresenta l’inizio del lento processo
di conquista e distruzione della vittima, è caratterizzata fondamentalmente da
un uso strategico e manipolatorio dell’abile tattica dialettica del perverso
narcisista.

Egli dosa sapientemente parole dolci, complimenti, carezze per l’anima e l’ego
della partner, alternando il miele al fiele di velenose, taglienti offese, reprimende,
ingiurie, oltraggi.
Tutto ciò col solo fine di minare la sicurezza della vittima, che nell’imprevedibile
alternarsi di questi comportamenti finisce per ritenere se stessa la causa di ogni
male, fonte di inevitabile delusione per il proprio partner.
Al principio della relazione la vittima non ha percepito il pericolo incombente,
la tossicità di cui era portatore colui che l’ha sedotta.
Il narcisista ha una capacità quasi medianica di intuire questa sorta di ingenuità,
di debolezza nella sua preda, ed è da lì che inizia a tessere la tela.
Ma esattamente come questa è fatta anche di spazi vuoti, così pure l’intreccio
manipolatorio del narcisista viene accortamente ordito col filo delle parole e il
vuoto dei silenzi.

L’assenza di parole è misurata, soppesata con perizia, per indurre la partner a
dubitare ulteriormente di sé, a chiedersi dove mai abbia sbagliato, cosa abbia
indotto quei silenzi.
E così pure le menzogne del narcisista, le sue richieste paradossali, impossibili da
esaudire: tutto fa scientemente parte di un disegno comunicativo destabilizzante,
che viene definito “antiparola”, ovvero un linguaggio che mira esclusivamente a
far franare l’edificio di autostima che la vittima ha costruito nel tempo.
Il narcisista ama confondere le acque: mente, si contraddice, ma anche ove
venga smascherato, riesce a negare anche l’evidenza, a “rigirare la frittata”,
come si suol dire, con la destrezza di un mago incantatore, consapevole
dell’ascendente che seguita ad avere sulla propria vittima, godendo peraltro del
turbamento e della confusione che induce nella sua mente, nel suo raziocinio
sempre più infragilito.

La tecnica del cosiddetto double bind, del discorso a doppio senso, del dire una
cosa per significarne in realtà un’altra, è una delle strategie più tipiche e
pericolose del narcisista.
Lentamente la vittima si ritrova a non avere più riferimenti stabili, sempre più
alla mercé di questo astuto giocoliere del logos, fino a che, svuotata e persa,
affannandosi ad elemosinare quelle lusinghe che inizialmente l’avevano attratta
e rapita, resta svuotata e inerte, e per questo ancor più facilmente vittima del
disprezzo del narcisista che, portata a termine l’opera di devastazione, la
considererà merce avariata.
Tutta questa perversa macchinazione finalizzata a demolire la propria vittima,
viene attuata, come abbiamo visto, attraverso una complessa strategia dialettica
altalenante.

Ma qual è l’obiettivo del narcisista, cosa mira a debellare realmente, quale
aspetto in particolare della partner-preda?
L’autostima, ovvero l’immagine che ognuno di noi ha di sé, costruita a partire
dall’infanzia, quando inizialmente si desidera solo essere amati, quando non si è
ancora capaci di vedere il mondo esterno e chi ne fa parte come nient’altro di
diverso da sé, quando ancora tutto è riferito a sé.
Poi, gradualmente, allorché l’alterità del mondo si consolida come concetto
nell’essere umano, si inizia a costruire mattone dopo mattone l’autostima, che si
stratifica in una base più solida e virtualmente inattaccabile che è rappresentata
dall’amore che ognuno nel profondo ha per se stesso (il narcisismo di base) e
l’immagine che ci si forma di sé attraverso l’opinione degli altri, la risposta che il
mondo ci restituisce, il riscontro alle nostre azioni, opinioni, insomma alla nostra
personalità in senso lato quando si rapporta con gli altri.
Tanto più questo edificio di autostima non solo è solido di per sé, ma è anche
stato costruito su durevoli fondamenta, tanto più sarà arduo il compito del
narcisista nel trovare un pertugio in cui tentare di varcare il limite delle nostre
difese.
E viceversa.
Una debole autostima si traduce inevitabilmente in dipendenza affettiva, ovvero
nel bisogno dell’altro per potersi definire, per sentire e credere di avere un posto
nel mondo, un ruolo, una ragione di esistere.
Il cinico e crudele sfruttamento di questa predisposizione da parte del narcisista
nei confronti della vittima della sua perversione rappresenta la chiave per
comprenderne l’azione di logoramento.
La coppia sana è quella in cui ognuno, partendo da una posizione di solidità
affettiva e di equilibrata autostima, è in grado di esaltare i talenti e le qualità
dell’altro, lenendo con amore le eventuali ferite (di certo non reciprocamente
inferte).

Al contrario, nelle relazioni insalubri, come quelle fra il narcisista e la sua
partner, si instaura sin dal principio un evidente rapporto di squilibrio affettivo,
in cui però i ruoli sono ben determinati: la vittima, in costante ricerca di
conferme e attenzioni, frana e si disgrega, provocando la totale noncuranza del
partner, che finisce per disfarsene; il narcisista che opera affinché l’autostima
della sua preda si sfaldi, che questa si isoli dal proprio mondo di riferimenti
affettivi, che anzi assuma su di sé le colpe del fallimento della relazione.
La vittima, anche quando riuscisse a liberarsi dal giogo del narcisista, grazie
anche all’azione (intrapresa con il terapeuta) di ricostruzione dell’edificio
dell’autostima, ripartendo dal quello strato profondo di amor di sé, avrebbe
davanti a sé un lungo percorso.
Perché le tracce che lascia una relazione tossica con un narcisista sono spesso
profonde e vanno ad intaccare i pilastri su cui si basa la nostra capacità di
relazionarci con noi stessi e il mondo esterno.
La terapia servirà a rimettere assieme i pezzi del puzzle e a consolidare
nuovamente il castello, facendo in modo che il ponte levatoio non resti sollevato,
ma che piuttosto si abbassi sul fossato delle difese ritrovate, quando però si
sappia distinguere se al portone sta bussando un potenziale alleato o un nemico
invasore.