Roma 26 febbraio 2023

A cura del dott. Marco Salerno psicologo psicoterapeuta

 

No, benché sia il periodo adatto, non ci accingiamo a parlare
dei travestimenti di carnevale.
Ma è comunque interessante chiederci perché l’uomo, aut certo
punto della sua evoluzione, già in tempi molto remoti, ha
inventato la maschera, uno strumento per nascondere la propria
identità, ovvero sostituirla con un’altra.
Può certamente rappresentare un gioco, una sorta di
sospensione della realtà che permette di immedesimarsi in un
personaggio fittizio, come appunto si fa durante il carnevale,
oppure come facevano anticamente gli attori, che indossavano
delle maschere che rappresentavano soprattutto dei tipi o degli
stati d’animo e che permettevano anche di dissimulare la voce.
Resta comunque un inganno, un travestimento, e dunque un
travisamento di ciò che si è in realtà.

Ma la maschera che sostituisce il volto, intesa come ad
esempio ce l’ha magistralmente raccontata nei suoi drammi
Pirandello, rappresenta una menzogna esistenziale, qualcosa
che va ben oltre la semplice bugia, che tutto sommato è
sovente un escamotage per evitare delle situazioni che ci
metterebbero a disagio, per svicolare di fronte a degli ostacoli
contingenti.
La maschera che si indossa come simulazione quotidiana per
ingannare gli altri (ma anche, in primis, se stessi) sulla propria
autentica natura è una negazione della verità, una prigione cui
ci si condanna anche inconsapevolmente.
Perché la menzogna esistenziale generalmente ha un’origine
lontana, in una ferita che viene inferta in una fase embrionale
della vita, quella intrauterina, quando ancora l’individuo non è
neanche in grado di difendersi o di elaborare la violenza,
l’abuso, il torto, la mancanza di affetto, che dunque si insinuano
come un virus invisibile, aprono crepe difficilmente rimarginatili,
e che in età adulta si manifestano nel disagio, in quella sorta di

disamore verso se stessi, che si concreta nel progetto di odio
vendicativo, ovvero una forma purtroppo assai comune di
incapacità di perdonarsi e perdonare chi ci ha fatto del male,
rifiutandoci.
Introiettando questo rifiuto, ad esempio materno, non si è in
grado di sviluppare un sano rapporto con se stessi, che
permette di amarsi e di ritenersi degni dell’amore altrui.
Il che inevitabilmente comporta una perenne coazione a
ripetere insane dinamiche relazionali, seguitando a ricercare
partner sbagliati, egoisti, sfruttatori delle altrui debolezze,
dunque alimentando un circolo vizioso di rapporti tossici.
Finché non si intraprende un deciso e coraggioso viaggio dentro
se stessi per scovare l’origine del disagio, elaborarlo, tirarlo
fuori, guardarlo in faccia, quel dolore recondito che ha
condizionato l’interminabile sequela di scelte sbagliate,
soprattutto nella sfera affettiva, continuerà a signoreggiare
come un oscuro tiranno cuore e testa, aumentando la nostra
vulnerabilità e, di conseguenza, le possibilità che un aguzzino,
un partner manipolatore possa assumere il controllo e demolirci
a suo piacimento.
Viceversa, assumere noi il controllo della nostra vita, allinearci
con il nostro autentico progetto esistenziale, liberarci della
gabbia che ci impedisce di realizzare quanto il nostro Sé
autentico ci permetterebbe di fare, è l’antidoto contro il veleno
che altrimenti seguiterà a scorrerci nelle vene.
Non è un processo facile, non è un cammino agevole,
certamente, ma con l’aiuto di chi conosce questi meccanismi
psicologici e gli strumenti necessari ad invertire la rotta, l’uscita
dalla prigione esistenziale è possibile.
Imparare dunque ad amarsi significa anche capire di poter
meritare l’amore degli altri, che non possono e non devono
prevaricarci, bensì rispettarci.

La maschera non permette di evolvere, è per il vero volto di chi
la porta per non affrontare profonde paure come quelle
scarpette costrittive che si facevano indossare in passato alle
bambine cinesi affinché il piede non crescesse e si mantenesse
piccolo, come i canoni estetici imponevano.
Un’autentica tortura che chissà quante povere fanciulle hanno
subito nei secoli per obbedire a un ideale fisico, che in
compenso le deformava.
La maschera pirandelliana deforma, altera la verità
dell’individuo, ne soffoca la libertà, l’autonomia, lo comprime
riportandolo a quella sorta di egoismo fetale che vede solo le
proprie necessità e non è in grado, come dovrebbe invece un
autentico e sano Io adulto, di riconoscere l’altro da sé, con tutto
il suo carico di bisogni.
Per costruire una sana relazione di coppia, così come pure di
semplice amicizia o, più in generale, di scambio interpersonale,
si devono incontrare non due egoismi, ma due altruismi, nel
riconoscimento sincero e reciproco dell’autonomia e dignità
dell’altro.
Altrimenti si instaureranno solo pericolosi meccanismi basati su
giochi di potere, forme più o meno patologiche e violente di
assolutismo relazionale, in cui ci si percepirà come vittime o ci
si imporrà come predatori.

 

credit: www.pierandreapriolo.com