RRoma 28 settembre 2022
A cura del dott. Marco Salerno
Avete presente quei film (ad esempio western) in cui si vede un uomo che ha
perso il cavallo e si aggira assetato in un paesaggio desolato, una distesa
infinita di aride sterpaglie di cui non s’indovina la fine e sul quale domina un
sole implacabile?
O anche quelli in cui il protagonista si ritrova altrettanto sperduto e sfinito fra le
dune di un deserto africano altrettanto smisurato e senza alcun segno di vita
all’orizzonte, se non qualche scorpione che striscia silente, pronto a sferrare
proditori attacchi al malcapitato?
Se Borges scriveva che il labirinto più inestricabile è proprio il deserto
di cui non si conoscono i limiti e i confini, perché è molto più difficile uscirne
che non da uno, pur serpentino, ma fatto di alte e verdi siepi, ebbene, è
esattamente questa l’immagine forse più calzante per descrivere il
momento in cui la vittima di un rapporto tossico con un narcisista si
appresta ad intraprendere la strada della guarigione.
La traversata del deserto ha inizio nell’istante in cui il soggetto patologico decide
di lasciare il partner, nella stragrande maggioranza dei casi dopo averla (o
averlo) demolita psicologicamente, abbandonandola assetata d’amore nel più
riarso dei deserti, di cui la vittima non è in grado per molto tempo di indovinare
il termine.
All’inizio, come chiunque in uno di quegli incubi notturni di persuasiva
verosimiglianza, il soggetto abusato cerca di orientarsi per capire dove si
trova, ma attorno a sé percepisce il nulla, il vuoto esistenziale.
Questo perché, nella fase della distruzione dell’altro, il soggetto abusante ha
consumato ogni residua fiducia in se stessi del proprio partner, prosciugandone
ogni risorsa.
Dunque la vittima, pur anelando a trovare un’oasi in cui poter ristorarsi dal
senso di sperdimento e confusione che caratterizza le prime fasi successive
all’abbandono e ai soprusi subiti, non è apparentemente capace di imboccare la
strada della salvezza.
Nella fase cosiddetta della dissonanza cognitiva si dibatte disperatamente
nello smarrimento emotivo dovuto all’impossibilità di conciliare nella propria
mente l’immagine idealizzata dell’ex, costruita ad arte da questi all’inizio della
relazione, e quella del mostro che ha altrettanto scientemente operato per umiliare il partner.
La vittima vorrebbe tornare ad avere un contatto con il proprio ex,
ne spia (se può) la nuova vita attraverso i social network, cerca di interpretare ciò
che costui lascia trapelare di sé ed eventualmente della sua nuova vita amorosa,
illudendosi di individuare qualche segnale che possa far sperare in un
improbabile riavvicinamento.
E talvolta il narcisista, come lo scorpione velenoso nel deserto, appare e
scompare fra le dune sabbiose.
Ma l’unico modo per non essere nuovamente e mortalmente feriti è quello di
starne alla larga il più possibile.
Quello del contatto zero, della chiusura cognitiva, è il primo vero passo
per uscire indenni dal deserto.
Non cadere nella trappola delle triangolazioni messe in atto dallo psicopatico,
che si serve dell’eventuale nuova partner per far soffrire ulteriormente l’ex (della
quale ben intuisce la naturale disperata curiosità nei riguardi della sua nuova
vita), così come non tentare di colpevolizzarsi per la fine della relazione,
pensando a cosa si sarebbe potuto o non dovuto fare per non provocare
l’allontanamento del malinteso amore, o cercare di interpretare secondo i
parametri delle relazioni non tossiche, con soggetti non patologici, quella che è
stata al contrario una vicenda vissuta accanto a un individuo malato di mente,
ecco, sono i primi comportamenti da mettere in atto per cercare di non
affondare in quelle dune pronte ad ingoiare chiunque vi si avventuri in modo
sconsiderato.
La via della guarigione è lunga, ma non per questo deve essere infinita.
Sappiamo che il Sahara, prima di diventare il deserto più vasto del mondo, era
una fertile e verde distesa di natura rigogliosa: così la vittima di un soggetto
abusante emotivamente (quando non anche fisicamente) deve essere in grado di
ritrovare il ferace terreno che è stato ricoperto dall’infeconda polvere portata
dallo sterile vento soffiato dal narcisista.
Essere consapevoli dell’inconsistenza di quell’immagine illusoria che
ci si era creati dell’altro è un ottimo strumento per allontanarne il fantasma
dalla propria mente.
Al contempo è utile distrarsi, intraprendendo attività nutrienti e rilassanti per
il cervello e per il corpo: passare tutto il giorno a pensare all’ex è il miglior modo
per essere stritolati fra le spire del serpente a sonagli, che prima o poi compare
sempre sotto i raggi dardeggianti del sole del West, da sotto il cappello del
cowboy che si è addormentato sfinito su qualche roccia dell’altopiano.
Certamente, cercare di smascherare le false promesse, le menzogne
spudorate che il narcisista ha utilizzato per irretire la vittima, è un sentiero che
quest’ultima può tentare di imboccare per recuperare in parte autostima e
rispetto per sé stessa, ma a patto di farlo tenendosi a debita distanza dall’ex, anzi
evitando nella maniera più assoluta, malgrado la tentazione, di contattarlo in
alcun modo.
Anche qui, in un certo senso, ci si potrebbe servire della metafora del deserto fin
qui utilizzata: ogni tanto, chi attraversa luoghi particolarmente aridi e assolati
crede di intravedere all’orizzonte una qualche forma di vita, un oggetto, che si
palesa in maniera tutt’altro che netta, anzi, quasi come se emergesse da una
nebbiolina acquosa: è il cosiddetto effetto fata Morgana.
Ecco, allo stesso modo, credere di poter mettere le cose a posto, ricucire gli
strappi, suturare le ferite inferte da un soggetto tossico rivedendolo,
incontrandolo nuovamente, è un perfetto esempio di miraggio, di distorsione
ottica e prospettica indotta dal bisogno, che tutte le persone normali hanno, di
ricomporre i frantumi della vita.
Ebbene, come da secoli fanno i ceramisti giapponesi attraverso la mirabile
tecnica del kintsugi (che vuoi dire letteralmente “riparare con l’oro”), grazie alla
quale le tazze per la cha no yu (la cerimonia del tè), quando si rompono, vengono
restaurate rincollando i pezzi con una lacca dorata che evidenzia dunque le
linee di rottura, le vittime di relazioni patologiche dovrebbero cercare di
aggiustare i frammenti in cui si è infranto il loro cuore colmando le fratture con
il metallo luminoso e prezioso della rinascita a una nuova vita, lasciandosi alle
spalle ogni infruttuoso rimasuglio di quella vecchia.
Sarà sempre possibile trovare un paziente e amorevole ceramista capace di
infondere oro nelle piaghe di un dolore che sembrava non poter mai essere
estinto.