Roma 20 febbraio 2023

A cura del dott. Marco Salerno psicologo psicoterapeuta

 

Ricordiamocelo una volta per tutte: la relazione con un individuo affetto
da narcisismo patologico si trasforma (in tempi e modi variabili, ma non
troppo) inevitabilmente in un conflitto psicologico e certo non
alimentato da armi e carri armati, ma pur sempre un’autentica guerra.
Ma, a differenza di una guerra fra Paesi che si contendono dei territori,
inizia con quanto di più lontano ci si possa immaginare da un conflitto:
la seduzione. Eppure, l’intento di chi muove i primi passi strategici è
esattamente quello che ispira un guerrafondaio: la conquista e la
sottomissione.
Tutte le guerre fortunatamente hanno un termine: quelle politiche in
genere con un accordo, un trattato di pace, un cessate il fuoco, cui si
giunge o per ammissione della sconfitta di una delle parti in causa, o
grazie alla paziente tessitura delle diplomazie che hanno lavorato dietro
le trincee.
Ma le guerre psicologiche, le relazioni tossiche in cui una delle parti è
l’aguzzino manipolatore e l’altra la vittima demolita nella propria
dimensione esistenziale ed affettiva?
In entrambi i casi c’è bisogno di una exit strategy.
Intanto partiamo dal presupposto che, mutatis mutandis, i soggetti
narcisisti si distinguono per alcune caratteristiche che abbiamo già
illustrato, come si suol dire, nelle precedenti puntate; ma soprattutto che
la loro azione volta alla conquista della vittima prescelta si articola
sostanzialmente sempre in tre fasi: seduzione, isolamento e abbandono
del partner.

Il narcisista manipolatore è un individuo anaffettivo, dunque non prova
alcuna pietà od empatia nei confronti delle proprie vittime: va dritto allo
scopo, senza remore né resipiscenze.
Inizia con l’ammaliare, con l’apparire il potenziale partner migliore del
mondo, l’attento ascoltatore delle disgrazie e delle pene altrui, ma solo
per carpire segreti e meglio misurare i punti deboli della vittima.
Prosegue con una valanga di dimostrazioni d’amore, un vero e proprio
bombardamento, che stordisce il partner prescelto che quasi non riesce
a credere di essere al centro di una tale tempesta affettiva.

A quel punto inizia ad isolarlo (o isolarla), inducendolo a credere di
essere l’unica vera fonte di amore cui rivolgersi e da cui trarre gioia ed
appagamento amoroso, per poi, infine, una volta succhiata tutta la
polpa dal frutto, gettare via ciò che resta della vittima, la buccia
avvizzita.
Perciò il narcisista ha bisogno di intercettare a sua volta individui con
una forte dipendenza affettiva, soggetti che nell’altro (o nell’altra)
vedano la propria ancora di salvezza, persone che, per i propri trascorsi
relazionali e psicologici, nutrano una profonda mancanza di autostima e
dimostrino una altrettanto grave incapacità di trovare in se stesse gli
strumenti per gestire autonomamente la propria fragile esistenza.
Il dipendente affettivo rappresenta la vittima ideale del manipolatore: è
creta nelle sue mani, che possono plasmarla a suo totale piacimento,
fino alla distruzione finale.
Esistono differenti tipi di soggetti affetti da questa incapacità di
autonomia affettiva:
il codipendente, ovvero colui o colei che si prefigge come scopo la
dipendenza del partner, in sostanza una dipendenza reciproca (io
dipendo dalla tua dipendenza, dal tuo bisogno di me). Sempre
disponibile nei confronti dell’altro, accetta abbandoni e rifiuti periodici
purché l’altro torni e gli faccia sentire che il suo aiuto, la sua presenza
gli sono necessari (anche se, nel caso del narcisista, questo non è
assolutamente mai vero);
poi c’è l’ossessivo, per cui il partner (o qualunque sia l’oggetto delle
proprie attenzioni) diventa una droga, da cui è impossibile separarsi;
il dipendente affettivo dalla relazioni, per il quale è il fatto stesso di stare
dentro una relazione che risulta indispensabile, quale che ne sia il
tenore;
il dipendente affettivo narcisista, che tenta di dominare l’altro attraverso
la seduzione;
e infine l’ambivalente, terrorizzato da solitudine ed intimità, indifferente
al fatto che il partner possa essere a sua volta già impegnato, oppure in
grado di sabotare la relazione non appena ne percepisca l’evoluzione in
qualcosa di realmente impegnativo.
Il più diffuso è il tipo “codipendente”: una personalità accuditiva, ma in
modalità morbosa, una crocerossina che in realtà ha bisogno di
controllare ogni aspetto della vita dell’oggetto delle proprie attenzioni,

spesso intenzionata a cambiarne (migliorarne, secondo il suo punto di
vista) molti aspetti caratteriali, intento destinato in genere fatalmente al
fallimento.
Ad ogni modo, il narcisista manipolatore, come un lupo che annusi la
preda a notevole distanza, si avventerà su di essa, affondando le sue
zanne come una lama nel burro, senza incontrare quasi resistenza.
E allora, tornando all’assunto iniziale, qual è o quali sono le possibile
strategie di uscita, o per meglio dire, di salvezza, da questo genere di
relazioni malsane, avvelenate?
Verrebbe da dire, anzitutto, non infilandocisi dentro fino al collo,
fuggendo sin dall’inizio. Ma per fare questo si dovrebbero affinare le
tecniche e le capacità che ci rendano in grado di riconoscere le
menzogne che il manipolatore utilizza tatticamente per introdursi nel
cuore e nella mente delle sue vittime predestinate.
I bugiardi sono abili, è vero, ma a ben osservarli si tradiscono: gesti
nervosi, posture tese, sguardi quasi mai diretti, ebbene ne rivelano le
infide intenzioni.
Oppure l’indifferenza alle provocazioni: spesso i narcisisti ce li
ritroviamo sul luogo di lavoro e se sfortunatamente sono dei superiori
non è facile sfuggire alla loro protervia o alle aggressioni più o meno
palesi; e allora una ben dissimulata accondiscendenza, o una vera e
propria indifferenza alle provocazioni abusanti, possono risultare efficaci
strategie per spuntare le loro armi.
Ma anche confrontarsi con amici fidati, saggi consiglieri o professionisti
che ci possano aiutare (essendo soggetti terzi, estranei alla dinamica
tossica) a meglio analizzare il rapporto che si è instaurato fra noi e i
narcisisti di turno, è una buona opzione per non cadere nella loro rete,
per non farci rinchiudere nella gabbia dalla quale poi risulterà sempre
più difficile districarsi o uscire, man mano che la relazione si consolida.
È fondamentale tenere a mente che il narcisista è un individuo malato,
che deve riempire il proprio vuoto affettivo ed esistenziale nutrendosi
della debolezza altrui, che sia un partner, un conoscente, un presunto
amico, un dipendente.
Tenderà costantemente, nella fase della demolizione della vittima, a
incolparla di tutto, a frantumare ogni certezza.

Se per un motivo o per l’altro si è caduti nella fitta trama ordita da un
manipolatore narcisista, ci si deve sempre ricordare che nessuno che
davvero ci ama desidera la nostra distruzione, la nostra sottomissione.
Questo è quanto di più insano e lontano ci possa essere dalla salubrità
e correttezza delle relazioni affettive umane.
A tutti può capitare di incorrere in rapporti sbilanciati, squilibrati, perché
ci si trova in un particolare momento della vita caratterizzato da
maggiore fragilità e bisogno d’amore ed attenzioni, o perché impreparati
a riconoscere e gestire per tempo personalità disturbate: l’importante è
misurare sempre la temperatura della relazione, leggersi dentro e
capire se ci sentiamo a nostro agio, compresi e accettati per quel che
siamo, stimolati a dare il meglio di noi stessi.
Se non così non fosse, deve scattare un campanello d’allarme e si deve
essere pronti a farsi aiutare, se non si è in grado di uscirne da soli.
E farsi aiutare anche a mantenere il punto, una volta riconosciuta la
nocività del rapporto, per non ricaderci.
Come dicono i tedeschi, l’essenza di una relazione sana dovrebbe
essere il reciproco far emergere “sin bess’res Ich”, un sé migliore.

 

dott. Marco Salerno

 

credits: www.pierandreapriolo.it