+393474661496 Via della Frezza 44, 00186 - Roma dottmarcosalerno@gmail.com

Come capiamo se la persona a noi vicina e’ un narcisista? Il narcisismo la malattia del XXI secolo

 

Roma 25 febbraio 2020

A cura del dott. Marco Salerno psicologo psicoterapeuta

 

Il narcisista si riconosce facilmente perché cerca continuamente attenzione e consenso, e’ permaloso, non gode mai di quello che ha realizzato, non e’ in grado di far auto ironia e di non prendersi troppo sul serio.  Sperimenta  una esperienza di vuoto, di fragilità, di assenza di senso, noia, ed inconsistenza, e’ una persona schiacciata da un forte giudizio interiore da cui si sente svalutato in ogni momento.

Come e’ possibile capire se la persona a noi vicina e’ narcisista?

Basta osservarne il comportamento e i seguenti stati d’animo:

  • Rabbia: una costante rabbia che a tratti esplode riconducibile ad irritabilità permanente’, continui tentativi di realizzare l’impossibile e la costante sensazione che siano gli altri ad impedirlo. La rabbia protegge il narcisista da chi cerca di minare la sua fiducia, spesso vorrebbe liberarsi da quel legame doloroso che la alimenta. Il narcisista per tenere sotto controllo la sua vittima inoltre usa l’arma del disprezzo che ha la funzione di attutire la rabbia. Non e’ capace di godere dei propri successi, li sfiora e se ne compiace ma il tutto svanisce rapidamente poiché il suo senso di superiorità e’ solamente determinato al modo con cui viene guardato dagli altri. Rileva ogni errore che nota in chi gli sta vicino e grazie alla strategia del disprezzo si protegge dal suo senso di fragilità.
  • Vuoto: il narcisista ha la percezione continua che la vita non abbia alcun senso, si caratterizza per l’incapacità di godersi la vita e per un profondo senso di vuoto che nel tempo porta all’isolamento. Il vuoto e’ l’unico spazio in cui la vulnerabilità e’ attenuata, la consapevolezza di non far parte della vita, di essere spettatore. Il punto centrale del disturbo narcisistico e’ la passività e l’immobilismo, la  totale assenza di sentire qualunque desiderio o passione che guida per il conseguimento di un obiettivo
  • Il senso di superiorità: lo provano per breve tempo sotto forma di disprezzo per chi li circonda.
  • L’esperienza dell’abisso: una sensazione mista di angoscia, paura, vergogna e la paura di essere scoperto per come e’ realmente. Il narcisista si protegge da queste sensazioni ricorrendo a strategie ben distinte. La prima e’ quella di cimentarsi in azioni mirabolanti, spesso e’ una persona di successo, immagina una vita grandiosa ma coltiva il risentimento incolpando il mondo per le occasioni mancate e manifesta improvvisi scatti di ira quando qualcuno mette in discussione le sue idee. La paura e la vergogna emergono saltuariamente nella psiche del narcisista ma difficilmente ne parla e le sente fino in fondo. Paura e vergogna sono strettamente connesse poiché chi ha paura e’ vulnerabile e debole e il destino dei deboli e’ il disprezzo che per il narcisista equivale alla morte
  • Il senso di colpa altruistico: una profonda e strisciante sensazione che per vivere la propria vita ha dovuto deprivare qualcun altro e arrecargli dolore. Spesso il narcisista e’ cresciuto circondato da una famiglia insofferente ad ogni tentativo di autonomia e di indipendenza. Questo sentimento accompagna in ogni momento la sua vita, ogni volta che lo sente, reagisce violentemente, in modo cinico ed insensibile. In realtà questa strategia e’ l’unico modo che conosce per affrontare il ricatto affettivo ma appena vede che l’altro soffre, si sente in colpa e pensa che deve rinunciare a se stesso per farlo stare meglio. L’arroganza del narcisista in parte nasce dal bisogno di vivere e di prendere tutto per proteggersi da chi immagina possa privarlo di esistere.
  • Il senso di appartenere ad una ristretta cerchia di persone uniche e scelte.

Come riconoscere un narcisista al primo incontro: tipologie e stili relazionali

 

Roma 1 ottobre 2019

a cura del dott. Marco Salerno psicologo psicoterapeuta

 

Il narcisista e’ una persona sempre  in cerca di qualcosa pur non avendo chiaro cosa e non  riuscendo mai a soddisfare la profonda insoddisfazione che accompagna tutta la sua vita.  Anche quello che appare piu’ sicuro, prova un profondo senso di insicurezza riguardo alla propria capacità di amare e di essere amato, desideroso di essere sempre ammirato, di colpire il proprio interlocutore che viene idealizzato finché non dirà o farà  qualcosa da cui si sentirà  umiliati. La vita del narcisista e’ all’insegna di continue oscillazioni tra il sentirsi unico e la paura di essere umiliato

Non esiste una unica tipologia di narcisista, alcuni appaiono molto sicuri grazie ad una corazza che li protegge dalla sofferenza per il proprio vuoto e per l’impossibilita’ di ottenere la risposta che desiderano da chi li circonda mentre altri provano un dolore costante, si sentono sempre al centro delle critiche altrui da cui difendersi.

Per comprendere meglio le tipologie di narcisista ci si può rifare alla casistica di Herbert Rosenfeld (1987) che ha fatto una distinzione fra narcisisti dalla pelle sottile e dalla pelle dura. Il primo e’ un individuo vulnerabile, il quale vede sempre nelle parole degli altri un motivo di offesa, si caratterizza per forti esplosioni emotive quando viene toccato un tema sensibile. Il secondo invece si distingue  per la grandiosità, e’ impermeabile a quello che accade nelle relazioni con gli altri, considera le persone che lo circondano un potenziale pubblico da cui essere ammirato e può avere un crollo in seguito a delusioni, a un rifiuto o all’avanzare dell’età’. Entrambe le categorie hanno una scarsa percezione del modo in cui vengono considerate dagli altri. Russ e colleghi (2008) hanno utilizzato il test SWAP-II per definire i tratti tipici del disturbo narcisistico di personalita’, individuando tre sottotipi:

  • Il narcisista grandioso/maligno o inconsapevole: si caratterizza per una visione di sé come un individuo importante, senza alcun rimorso, ha una tendenza alla manipolazione interpersonale, prova rabbia e ricerca il potere nelle relazioni, al fine di sopraffare l’altro.
  • Il narcisista fragile o vulnerabile: tiene a bada il proprio senso di inadeguatezza adottando un atteggiamento di grandiosità a scopo difensivo, non si sente mai all’altezza delle situazioni, prova stati affettivi negativi e solitudine. Questo tipologia di narcisista si caratterizza per una oscillazione tra questi due stati a cui corrispondono anche rappresentazioni di sé contraddittorie.
  • Il narcisista ad alto livello di funzionamento : ha un senso esagerato della propria importanza, ha un atteggiamento estroverso e convincente che spesso lo guida verso il successo poiché orientato al risultato e alla relazioni interpersonali impostate in chiave funzionale e al raggiungimento del proprio tornaconto.

 

 

Come liberarsi da un narcisista: 13 stili relazionali per riconoscerlo definitivamente

 

 

Chi incontra un narcisista sul proprio cammino si chiede se non soffre della propria condizione, se si rende conto di fare del male ai propri familiari, amici o partner. La risposta e’: NO! Il narcisista ha bisogno di piacere, di ricevere conferme, di essere desiderato e non considera le conseguenze delle sue azioni su chi gli sta vicino.

Il narcisista si rende conto di esserlo? Si rende conto del proprio comportamento?

Il narcisista non si rende conto di provocare dolore e danni dove passa perche’ la sua capacità di amare e’ poco matura e compromessa. Il problema principale per  un narcisista patologico e’ la capacità di amare e di mantenere del tempo una relazione di amore. Lo scenario che più frequentemente si presenta e’ quello di una intensa e coinvolgente infatuazione e di una rapida rottura quando il partner gli fa notare gli inevitabili problemi a cui segue poi uno strascico di critiche e delusioni, accompagnate da rabbia, silenzi e svalutazioni. Questo avviene perché il narcisista e’più’ attratto dalla “luna di miele” ma non dal matrimonio, dal desiderio di piacere, di sedurre, di vedere l’altro che lo vuole con tutto se stesso. Gli interessano le conferme e l’adorazione di un partner che si presta ad una facile idealizzazione e che lo mette al centro del proprio mondo.   Il narcisista si sottopone ad un continuo sforzo per entrare in relazione con l’altro ma si scontra con ripetuti fallimenti poiché non e’ in grado di considerare una persona come un individuo con bisogni a sé stanti ma solo come un mezzo per ricevere conferme del proprio valore, un collante della sua fragile personalità che manipola più o meno consapevolmente chi lo circonda per ricercare disperatamente approvazione.

Come si riconosce un narcisista?

Ogrodniczuk e Kealey (2013) sostengono che “gli individui narcisisti non sono necessariamente identificati dal modo in cui si sentono ma da come fanno sentire gli altri”. Il narcisista pur ricercando approvazione e conferma dall’altro, paradossalmente lo allontana, vanificando la speranza di ottenere la risposta (conferma) di cui ha bisogno.  Il narcisista mostra uno spiccato senso di vanità e di futilità emotiva perché non e’ in grado di controllare il proprio comportamento e di conseguenza le risposte di chi lo circonda, di cui invece ha disperatamente bisogno per stabilizzare la fragile considerazione di sé.  Tutte le configurazioni caratteriologiche narcisistiche hanno in comune la difficoltà di autoregolazione delle emozioni e una esigua autostima che determina significative fluttuazioni tra lo stato vulnerabile e lo stato grandioso della loro personalità.

Non essere considerati: le persone ad empatia zero

 

 

Chi di noi non si e’ sentito una volta trattato come un oggetto e si e’ posto domande come “Questa persona si e’ resa conto di cosa mi ha detto?”, oppure, “Cosa gli ho fatto io per meritare questo atteggiamento?”. Dietro a tali domande vi e’ la terribile sensazione di non sentirsi “visti” e considerati in alcun modo, di essere trasparenti qualunque cosa si dica o si faccia, insomma di non esistere per l’altro.  Il processo che e’ alla base di questa sensazione e’ quello di essere trasformati da persone in oggetti a causa di  un meccanismo definito “erosione empatica” che e’ presente in coloro che sono portatori di vendetta, di rabbia incontenibile, di odio, di un vero e proprio desiderio di fare del male all’altro o nella migliore delle ipotesi di considerare una persona solo un mezzo per soddisfare i propri bisogni.  Gli individui che rientrano in questa categoria possono essere  definite come persone con “empatia spenta o zero”, sintonizzate esclusivamente sulla “modalità io” che li spinge a rapportarsi ad altri come se fossero cose e non essere viventi con un’anima e sentimenti.

Ma cos’e’ l’empatia?

Secondo lo psichiatra Simon Baron Cohen una persona si può definire empatica  quando smette di focalizzare la propria attenzione in modo univoco (single minded) per adottare invece un tipo di attenzione doppia che comprende anche l’altro  (double minded). Focalizzare l’attenzione in modo univoco significa prestare attenzione solo alla propria mente, idee, bisogni e percezioni: mentre avere un’attenzione doppia significa tenere presente allo stesso tempo anche l’altro. L’empatia e’ la capacità di identificare ciò che qualcun  altro sta pensando o provando e di rispondere a questi pensieri e sentimenti con un’emozione corrispondente e appropriata.

Baron Cohen ha individuato sette livelli di empatia da 0 a 6.

  1. Livello 0: una persona non ha alcuna empatia, non prova alcun rimorso e non si rende conto delle conseguenze delle sue azioni verso gli altri; può arrivare ad essere a volte violenta e persino a commettere crimini.
  2. Livello 1: può ferire gli altri ma e’ in grado di riflettere e di provare rammarico per cosa ha fatto anche se non riesce a fermarsi e porvi rimedio.
  3. Livello 2: possiede un barlume di empatia che le consente di immaginare come si sentirebbe l’altro per una sua azione.
  4. Livello 3: consapevole di avere difficoltà con l’empatia, può mascherarla o compensarla.
  5. Livello 4: un livello di empatia medio basso, spesso attenuata, non influenza il comportamento quotidiano; la persona si sente a suo agio quando le conversazioni non riguardano le emozioni.
  6. Livello 5: ha una empatia leggermente al di sopra della media, e’ spesso più concentrata su gli altri che su se stessa.
  7. Livello 6: ha notevole empatia, e’ continuamente focalizzata sui sentimenti altrui e vuole essere sempre di conforto.

Soffermiamoci ora sulla persona con il grado zero di empatia

Infedeltà e relazioni extraconiugali

Roma 16 febbraio 2019

A cura del dott. Marco Salerno

Il tema dell’infedeltà’ costituisce da sempre un terreno di confronto e di scontro per una coppia, attivando dinamiche emotive  che affondano le loro radici sia in cause biologiche sia psicologiche. Secondo Attili (2000) negli uomini e nelle donne potrebbe esserci una naturale propensione all’infedeltà’ poiché le scelte del partner sono riconducibili al complesso coadattato secondo cui le donne scelgono gli uomini alti, più anziani e con uno status socio economico che possa garantire a loro e alla prole il sostegno necessario affinché possano prendersi più a lungo cura dei loro figli. Gli uomini invece tendono a scegliere partner più giovani poiché la giovane età è garanzia di salute e di un buon patrimonio genetico e di un maggiore potenziale riproduttivo. Nonostante i maschi tendano ad avere più relazioni, mantengono un rapporto monogamico nel quale investire risorse e cure al fine di assicurare protezione e sopravvivenza alla propria discendenza. Il minore investimento da parte dei maschi in una relazione affettiva stabile può essere ricondotto al concetto espresso dal detto latino mater semper certa est, pater numquam (la madre è sempre certa, il padre mai). La motivazione biologica dell’infedeltà’ maschile è riconducibile alla strategia riproduttiva per propagare il proprio patrimonio genetico secondo cui diffondere i propri geni a basso costo anche in altre relazioni differenti da quella ufficiale. Allo stesso modo nella specie umana il successo riproduttivo femminile è assicurato non solo dalla scelta di uomini che hanno una posizione economicamente stabile ma anche dall’avere legami alternativi con altri a cui far credere di essere padri dei propri figli e quindi garantirsi un nuovo compagno nel caso in cui si perda il proprio. Secondo Baker (1996) per una donna potrebbe essere utile farsi fecondare di nascosto da un maschio portatore di geni migliori di quelli del proprio partner, poiché il compagno stabile potrebbe essere stato scelto per assicurare risorse economiche piuttosto che un buon patrimonio genetico. L’autore sostiene che una percentuale compresa tra il 10% e il 30%  di bambini nate da coppie stabili sia da attribuire a un tradimento da parte della donna.  Trevis (1972) spiega come la gelosia maschile sia legata alla possibilità che la propria partner abbia altri legami sessuali, per cui comporterebbe il rischio di allevare i figli di altri maschi mentre la gelosia femminile è legata all’idea che il proprio partner abbia un altro legame affettivo che implicherebbe lo spostamento di risorse su un’altra donna e su i suoi figli.

Da un punto di osservazione psicoanalitico il tradimento affonda le sue radici nell’insicurezza poiché per un uomo constatare il buon funzionamento del proprio pene è di per sé una soddisfazione, per cui il tradimento maschile può essere spiegato, al di là delle tendenze biologiche, come conferma dell’insicurezza  sul corretto funzionamento del proprio sesso. Inoltre i maschi tendono a confrontarsi con il padre che idealizzano come esempio di potenza sessuale rispetto alle femmine che si concentrano sulle capacità generative e sul bisogno di sicurezza e stabilità.  Lingiardi e Madeddu (1994) evidenziano che se i partner non sono sereni ed appagati individualmente, tendono ad attribuire la crisi del rapporto all’altro piuttosto che a se stessi, dimostrando di non essere capaci di assumersi la responsabilità delle proprie scelte ma di sentirsi vittime. Da un punto di vista psicoanalitico il tradimento può essere considerato una compulsione generato dai seguenti fattori:

Dal conflitto irrisolto alla crisi di coppia: fattori che determinano la fine di una relazione

Roma 23 gennaio 2019

 

A cura del dott. Marco Salerno psicologo psicoterapeuta

 

Ogni coppia durante il proprio ciclo di vita si confronta con momenti di crisi che riesce ad affrontare efficacemente se nel tempo ha sviluppato un insieme di strumenti che garantiscono un alto livello di qualità del rapporto. Alcuni autori (Snyder 1979, Beach e O’Leary 1985) identificano la qualità della relazione come il risultato della combinazione di comunicazione, accordo, percezione di supporto, gestione del conflitto, altri (Fincham e Bradbury 1987, Huston, Michale e Crouter, 1986)  ritengono che sia riconducibile a una valutazione globale negativa o positiva dell’unione. Infine gli studi più recenti identificano il benessere della coppia non come due opposti che si contrappongono (felicità e infelicità coniugale) ma concepiscono la qualità di una relazione come un costrutto formato da dimensioni positive e negative indipendenti piuttosto che in relazione ad una singola dimensione bipolare, positiva e negativa (Weiss e Heyman, 1997).

Le valutazioni che i partner possono esprimere riguardo alla via di coppia sono:

  • Valutazioni positive se sono coppie soddisfatte.
  • Valutazioni sia poco positive sia poco negative se sono coppie indifferenti.
  • Valutazioni molto positive e molto negative se sono coppie ambivalenti.
  • Valutazioni negative se sono coppie insoddisfatte.

Recenti ricerche hanno preso in considerazione non solo la qualità della relazione ma anche la stabilità, intesa come impegno e il rapporto tra queste due variabili. Per cui se aumenta la qualità, migliora anche la stabilità ma non è detto che al contrario possa valere lo stesso principio poiché alcune relazioni, pur essendo stabili, sono caratterizzate da elevati livelli di conflitto e bassi livelli di soddisfazione. Un alto grado d’impegno reciproco o commitment consente di superare il conflitto e di migliorare il rapporto. Qualità e stabilità sono i fattori di base su cui s’innestano una serie di elementi che possono favorire lo sviluppo e il mantenimento delle relazioni o esporla a rischio di rottura. Tra questi, secondo Cigoli e Sabatini (2000), si annoverano:

  • Fattori cognitivi e affettivi: le credenze sulla coppia, l’idealizzazione reciproca, lo stile di attaccamento, il livello d’intimità costituiscono un ruolo protettivo fondamentale a sostegno sia della stabilità sia della qualità della relazione poiché sono l’espressione del patto di coppia, della capacità di perdonare l’errore e di individuare il valore dell’altro.
  • Fattori interattivi: sono la comunicazione e il conflitto, il primo costituisce il canale principale attraverso cui la relazione viene vissuta e grazie a cui si definisce il confine reciproco all’interno della coppia, il secondo circoscrive il perimetro all’interno del quale emerge la differente percezione che un partner ha dell’altro.
  • Fattori etici: commitment con cui s’intende l’impegno e la dedizione al rapporto attraverso cui si promuovono comportamenti a favore della relazione che consentono di aumentarne e di mantenerne sia la qualità sia la stabilità. Tra i comportamenti di commitment si rileva quello di accomodamento che è il risultato della decisione di reagire a comportamenti distruttivi in modo costruttivo, inibendo quelli negativi e cercando di metterne in atto di positivi. L’accomodamento ha un valore positivo se è il frutto di una dedizione volontaria alla relazione, finalizzata a creare e ricreare il legame altrimenti si traduce in un evitamento.
  • Fattori riguardanti le reti familiari ed amicali: il rapporto vissuto con le famiglie di origine costituisce un elemento fondamentale che condiziona la modalità di essere e di concepire la coppia.

Tecniche di manipolazione psicologica: come i manipolatori controllano le proprie vittime

Roma 4 agoato 2018

 

A cura del dott. Marco Salerno psicologo psicoterapeuta a Roma

 

Il manipolatore affettivo può essere un partner, o un familiare, un amico, un collega di lavoro che “utilizza” il bisogno di affetto della propria vittima, suscitando in lei il senso di colpa, criticandola e aggredendola costantemente quando le sue richieste non vengono soddisfatte. Questo comportamento alla lunga scardina l’autostima della vittima, la quale si sente sempre meno adatta e degna di essere amata. Le conseguenze di questa spirale distruttiva sono devastanti per il dipendente affettivo che sviluppa una serie di sintomi, sia psicologici sia fisici come aggressività, ansia, paura della solitudine, tristezza, emicranie, disturbi digestivi, mancanza di appetito, disturbi del sonno, attacchi di panico e rabbia incontrollata. Il manipolatore affettivo è una personalità patologica che si nutre della vitalità e delle emozione delle sue vittime. Le svuota gradualmente di ogni energia fino a farle sentire sbagliate e oppresse dopo aver perpetrato azioni continue di disprezzo, di critica, di ricatti alternandoli a momenti caratterizzati da un forte desiderio di relazione, ricercati solo quando gli sono utili. Tende a passare per vittima e ad attribuire sempre la causa dei suoi errori ad altri, senza mai assumersene la responsabilità. Nelle discussioni non accetta il rifiuto e vuole avere l’ultima parola a costo di cambiare repentinamente opinione e di mentire per deformare la realtà a suo uso e consumo. Chi diventa preda di un vampiro affettivo non riconosce il pericolo ed è bisognoso di ricevere l’approvazione altrui  per le proprie scelte. Di solito le vittime preferite sono le persone che non hanno molta fiducia in sé e si adeguano sempre alle richieste esterne non rispettando i propri bisogni ma aspettando che qualcuno li riconosca. Non dimentichiamoci mai che volere bene presuppone volersi bene, vivendo per se stessi e non essere unicamente attenti al benessere altrui, altrimenti si diventa facilmente l’oggetto del bisogno di un manipolatore.  La manipolazione psicologica ha come obiettivo quella di modificare il comportamento di altri attraverso modalita’ e tattiche ingannevoli, subdole e violente per pilotare le intenzioni di una persona contro la propria volonta’. E’ importante non confondere la manipolazione affettiva e psicologica con l’influenza sociale intesa come una modalita’ di relazione che rispetta i diritti  delle persone che hanno la facolta’ di scegliere se accettare o respingere il suggerimento dato. George K. Simon afferma che e’ possibile riconoscere i comportamenti di un manipolatore quando questi nascondono atteggiamenti ed intenzioni aggressive, quando il manipolatore conosce le vulnerabilita’ della propria vittima e adotta tattiche comportamentali che fanno leva su quest’ultime non avendo alcuno scrupolo nel provocare dolore . Secondo Harriet B. Braiker (2004) i manipolatori durante la fase di avvicinamento e di primo approccio tendono ad elogiare le vittime, adottano un comportamento seduttivo che le fa sentire uniche, chiedono  scusa e si dipingono come persone molto sensibili bisognose di aiuto, fanno  regali e appaiono o molto sicure di se’. La vittima in ogni caso e’ attratta dal manipolatore che ancora non ha riconosciuto come tale e tende o a sentirsi rassicurata o a prendersene cura. A questa prima fase segue un comportamento di graduale critica unita ad un riconoscimento delle doti della vittima la quale inizia a scivolare in una condizione di confusione  e di disorientamento poiche’ non ha piu’ chiaro quali sono le ragioni che spingono il proprio aguzzino prima a criticarla e poi a ricercarla. La conseguenza e’ di trovarsi in una condizione di paura crescente e di vivere uno stato di allerta per paura di sbagliare sempre qualcosa, dovuta all’alternarsi di comportamenti di rinforzo e di svalutazione da parte del manipolatore. Durante questo processo il manipolatore tende a rivelare sempre piu’ le proprie tecniche tra cui quella della punizione che compare ogni qual volta la vittima si sara’ comportata in un modo a lui non gradito. Per cui adotta’ la tecnica del ricatto emotivo, del silenzio, alterna momenti in cui grida ad altri in cui tormenta la vittima, tiene il broncio e piange salvo poi iniziare a criticare e svalutare senza  pieta’ nuovamente. I comportamenti intimidatori, vessatori, domimanti e vittimistici del manipolatore inducono la vittima ad aver paura di affrontare ogni tipo di confronto per timore delle reazioni, degli attacchi di rabbia, di contraddirlo e di farlo soffrire.

 

Le tecniche manipolative piu’ diffuse sono le seguenti:

Maschi in crisi: come il mondo digitale condiziona le relazioni di coppia

Roma 06/02/2018

 

A cura del dott. Marco Salerno psicologo psicoterapeuta a Roma

 

I cambiamenti economici, sociali, culturali e  tecnologici hanno pesantemente influito sulla formazione delle nuove generazioni, soprattutto quelle di sesso maschile le quali non hanno  guide adeguate per affrontare le incalzanti richieste dell’ambiente in cui vivono per essere motivati a raggiungere  i propri obiettivi. Per identificare meglio questo dilagante fenomeno, secondo cui i giovani maschi hanno difficolta’ nel definire il loro percorso di vita da un punto di vista accademico, sociale e sessuale, devono essere prese in considerazioni piu’ variabili tra cui i fattori personali, situazionali e sistemici. Timidezza crescente, paura del confronto, ansia da prestazione, mancanza di figure genitoriali, tra cui in special modo quella paterna, accesso incondizionato alla pornografia on line,  un sistema sociale che tende a riconoscere le esigenze delle donne e meno quelle degli uomini, le variazioni  biofisiologiche come la riduzione del testosterone e l’aumento degli estrogeni, l’influenza dei social media e la mancata corrispondenza tra posti di lavoro e iter formativi adeguati, sono fattori che stanno condizionando pesantemente molti giovani uomini nel maturare le competenze sociali di base. Le minori opportunita’ lavorative rappresentano un problema per entrambi i generi ma le giovani donne sono piu’ determinate nel ricercare l’autonomia finanziaria e meno propense a trovare un partner maschile di status simile al proprio,  creando in questo modo ulteriori sfide relazionali per gli uomini. Mentre per le donne vi e’ la possibilita’ di scegliere tra un ventaglio di opzioni sociali, per gli uomini le alternative socialmente accettabili sono abbastanza limitate e circoscritte all’essere o un guerriero/uomo in carriera o capofamiglia. Tutti i nuovi ruoli minacciano il tradizionale concetto di mascolinita’ e il maschio che li prende in considerazione ottiene meno attenzione e minori opportunita’ sociali e affettive con il genere femminile, il quale nel suo processo di affermazione ed emancipazione prende in prestito a volte modelli maschili rispetto ai quali l’uomo e’ disorientato. In questo contesto dai confini poco definiti, il mondo digitale contribuisce a creare una crescente confusione nella percezione della propria identita’ e della realta’ circostante.  La pornografia (mondo digitale), che non e’ un problema per chi ha maturato una propria esperienza sessuale, costituisce invece per i giovani uomini un vero problema poiche’ questi maturano un senso della sessualita’ attraverso il mondo virtuale e non con persone reali. Di conseguenza maturano una visione alterata del sesso e dell’intimita’ e una significativa  difficolta’ a vivere un incontro con un partner reale. Il contatto sessuale puo’ essere vissuto come una esperienza ansiogena poiche’ richiede capacita’ di comunicazione, un coinvolgimento del corpo stimolato dalla presenza di un altro individuo e l’ascolto di esigenze sessuali e romantiche differenti dalle proprie. Il fisiologo G. Wilson ha dimostrato che quando giovani uomini hanno rinunciato all’uso del porno on line si e’ notevolmente ridotta in loro l’ansia sociale, hanno raggiunto maggiore concentrazione, la depressione e’  diminuita ed e’ aumentata la capacita’ di interagire con le donne. La timidezza e’ una componente fondamentale nel contribuire all’isolamento che molti giovani si auto impongono, spingendoli a rifugiarsi nel mondo virtuale il quale a sua volta alimenta in una dinamica a spirale la timidezza. La paura del rifiuto sociale e’  aumentata a causa della tecnologia digitale che  riduce notevolmente le opportunita’ di interazione sociale, rinforzando continuamente l’isolamento, che non viene neanche riconosciuto a causa dell’assenza di relazioni sociali.  La timidezza attuale non coincide con la paura del rifiuto ma con il disagio sociale che comporta il non sapere cosa fare, come e quando. Questa mancanza di codici sociali condivisi si ripercuote anche sulle relazioni uomo/donna, traducendosi o nel ritiro o nell’incapacita’ di decodificare la modalita’ comunicativa dell’altro/a.

Quando la coppia si ammala: offese e risentimenti che inquinano la relazione

Roma 9 ottobre 2017

 

A cura del dott. Marco Salerno psicologo psicoterapeuta a Roma

 

Il litigio all’interno della coppia innesca una dinamica emotiva che puo’ avere conseguenze disastrose sulla tenuta della relazione. Di solito  le discussioni di coppia si caratterizzano per aggressivita’ reciproca, dolore, impotenza, umiliazione, disprezzo e un forte senso di valorizzazione. Il desiderio di annientare il partner potrebbe radicalizzarsi fino a diventare l’unico obiettivo per bilanciare il senso di svalutazione e di mortificazione subito. In realta’ un conflitto relazionale che si esplicita nel presente e’ il risultato di una lunga catena di offese irrisolte che si sono stratificate nel tempo, terreno fertile per futuri conflitti. Durante ogni discussione di coppia non  si opera un distinguo tra offesa subita, che sono quelle che gli individui ricevono  e offesa inflitta, che sono quelle procurate da altri.  La prima e’ quella che le persone sperimentano quando si sentono rifiutate e respinte mentre la seconda racchiude tutto cio’ che si attua per ferire gli altri. Tra le offese inflitte e’ possibile racchiudere umiliazioni, discriminazioni,  la critica intenzionale, l’esclusione. Chiaramente non e’ possibile stabilire criteri universali che possano decodificare l’offesa in senso oggettivo poiche’ l’offesa diventa tale e acquista un suo peso specifico in base a come viene elaborata, al significato attribuito all’evento e alla sicurezza interiore, per cui possono esserci offese intenzionali e offese non intenzionali. Cosa accade durante una discussione di coppia? Quali sono le conseguenze di un’offesa ricevuta dal proprio partner?

 

Le conseguenze di una discussione di coppia  connotata da offese, sono il far vacillare la propria autostima e nei casi piu’ gravi il minarne le basi. Offesa e autostima sono legate strettamente tra loro, per comprendere questo concetto e’ necessario rifarsi all’etimologia della parola “offendere” che origina dal latino ob = contro  e fendere = urtare, per cui offendere significa ferire gravemente la dignita’, l’onore, la reputazione di qualcuno con parole o atti. Sul piano psicologico ed emotivo il nesso causale tra offesa ed autostima si puo’ rintracciare su un duplice livello:
  1. Tra gli effetti di una offesa possiamo annoverare la sensazione di valere poco, di non essere all’altezza, di non essere considerati, il senso di offesa deriva dal timore di sentirci inferiori e non ascoltati, anzi addirittura svalutati. Queste sensazioni fanno vacillare la nostra autostima, incidendo sul senso di identita’ ed indebolendo la considerazione di se’.
  2. Di solito le persone con una autostima poco solida si offendono piu’ facilmente poiche’ si sentono colpite nel proprio valore personale dalle critiche e dalle offese dell’interlocutore come se il loro valore dipendesse direttamente dal riconoscimento che l’altro da loro, a differenza di chi possiede una autostima piu’ stabile che non si lascia disarcionare emotivamente con facilita’.

Il narcisismo femminile nel mondo contemporaneo

 

Roma 12 settmbere 2017

 

A cura del dott. Marco Salerno psicologo picoterapeuta

 

Quando si parla di narcisismo e’ credenza diffusa che ci si riferisca in modo esclusivo ed automatico al genere maschile. Posso confermare in prima persona, grazie alle innumerevoli testimonianze di donne piu’ o meno abusate psicologicamente e fisicamente, che l’incidenza del narcisismo grandioso o maschile e’ sfortunatamente molto diffusa tra gli uomini. Esiste pero’ anche una forma meno conosciuta, perche’ piu’ nascosta e non facilmente riconoscibile, di “narcisismo femminile” che si palesa per le seguenti caratteristiche: una ostentata sicurezza in se’, una forzata disinvoltura, un senso di superiorita’, e una continua ricerca di indipendenza attraverso un ampliamento ipertrofico delle proprie capacita’.  Il mondo emotivo di queste donne e’ costellato da una radicata contraddizione perche’ pur essendo attraenti, curano molto il loro apparire nella forma fisica e nell’abbigliamento, hanno una percezione di se’ molto esigua poiche’ credono di essere brutte, socialmente non piacevoli e poco capaci. Manifestano un profondo desiderio di amore ma ogni qual volta incontrano una persona interessata genuinamente a loro, fuggono, attribuendogli intenzioni negative che sono frutto della loro immaginazione ma che costituiscono una valida ragione per allontanarsi. Nelle relazioni sociali cercano di mostrare benessere e di vivere la vita che sempre hanno desiderato, pur essendo intimamente  insoddisfatte e spesso depresse non solo a causa della difficolta’ di stabilire una relazione autentica in cui darsi emotivamente ma per una piu’ profonda mancata  conoscenza dei propri bisogni che le ha condotte sempre a fare scelte per essere accettate ma di cui non sono mai state realmente convinte.