Roma 2 aprile 2023

A cura del dott. Marco Salerno

 

In un certo senso il narcisista è come un cane da tartufo,
allenato a scovare il prezioso tubero nascosto nel folto del
sottobosco.
La differenza col simpatico quadrupede consiste nel fatto che la
preda del narcisista non se ne sta coperta dal fogliame, anzi,
deve sì rappresentare un prezioso trofeo, che possa contribuire
ad inorgoglire il predatore, ma allo stesso tempo più è vistosa,
maestosa, e meglio è.
Ma il narcisista prima di sceglierla, per poi impadronirsene, la
studia, ne fa oggetto di attenta e scrupolosa indagine, atta a
identificare la vittima che faccia al caso suo, ovvero quella che
gli potrà garantire, finché ne vorrà disporre a suo piacimento,
l’approvvigionamento necessario al proprio ego senza limiti.
Il narcisista entra a gamba tesa nella vita della potenziale
preda: non appena intravede le crepe, le fessure lasciate da
ferite pregresse, ci si infila dentro, apparentemente per
ripararle, riempiendole con il miele delle lusinghe, a mo’ dei
ceramisti giapponesi, che da secoli riassemblano le tazze rotte
della cerimonia del tè colando la polvere d’oro tra i frammenti
(un’arte detta kintsugi).
Ma mentre nella concezione del wabi sabi nipponico questo
riutilizzo di ciò che non è più perfetto, come quando uscito dalle
mani dell’artigiano, eppure impreziosito dal metallo che ne
rinsalda i frantumi, serve a ricordarci la transitorietà delle cose e
della vita, ad aiutarci ad accettarne di buon grado
l’imperfezione, l’oro della smodata adulazione che il narcisista
fa filtrare attraverso le fenditure del cuore e della mente delle
sue prede è puro veleno, che quei miseri cocci non farà altro
che polverizzare ulteriormente.

Se la vittima ha ad esempio dei trascorsi familiari traumatici,
come un genitore che si è allontanato da casa lasciando soli
coniuge e figli, spesso rappresenta la preda ideale del
narcisista, che può cercare di riempire quel vuoto emotivo e
sentimentale, approfittando anche della mancanza di una figura
(segnatamente quella paterna) che, ove al contrario fosse
presente ed autorevole, e soprattutto ove cogliesse in tempo le
reali intenzioni dell’insistente seduttore, potrebbe ergersi ad
efficace baluardo.

Oltre a proporsi come surrogato di una figura genitoriale
mancata durante l’infanzia della vittima prescelta, il narcisista
sa di poterla maggiormente colpire al momento del distacco,
proprio riportandone a galla il trauma dell’abbandono patito
durante l’infanzia.

E se è vero che il narcisista, come dicevamo, predilige come
prede soggetti che siano in qualche modo apprezzati
socialmente, se non addirittura di successo, e che dunque in
qualche maniera apparentemente non dovrebbero essere
troppo insicuri, nella sua attenta selezione saprà artigliare
proprio coloro che in fondo, malgrado l’affermazione personale,
siano rimasti umili, o peggio, non nutrano una profonda
autostima.
Perché è esattamente lì che il narcisista sa di potere e dovere
colpire: il suo scopo precipuo è la distruzione dell’autostima
della vittima, affinché possa ridursi alla sua completa mercé.
Talvolta si tratta anche di soggetti affetti cosiddetta sindrome
dell’infermiera, o a cui comunque basta rendere felici gli altri per
sentirsi appagati.
Ma quando questa generosa inclinazione, che in giuste dosi
rende l’essere umano caritatevole e solidale, degenera
nell’incapacità di reclamare anche attenzioni per sé stesso,
facendone lo schiavo del prossimo, ecco che da lodevole virtù
si trasforma in pericolosa debolezza di cui l’affamata specie

predatrice dei narcisisti approfitterà senza porsi alcuna remora,
mancando totalmente di quell’empatia che nei soggetti normali
fa riconoscere la sofferenza degli altri e impedisce di infliggerne
di ulteriore senza ragione.
Il narcisista peraltro non darà mai nulla al proprio partner per
ricambiare quanto ricevuto con tanta prodiga abnegazione,
convinto com’è che tutto gli sia dovuto.
D’altronde la vittima prescelta durante l’infanzia, o comunque in
ambito familiare, sarà stata abituata a non chiedere, ad
accontentarsi di ciò che le veniva concesso da genitori spesso
o avari di sentimenti (oltre che economicamente) o che in
qualche misura hanno trovato il modo di rinfacciare ai figli tutto
quello che avevano fatto per loro, attivando in essi il
meccanismo del senso di colpa, attraverso anche uno spiccato
vittimismo.

In tal senso, la preda ideale del narcisista, quando sottoposta
alle sue manipolazioni, al travisamento della realtà, alle
richieste sempre crescenti di attenzioni, non troverà così
assurde certe pretese di per sé insane, proprio perché adusa a
subire determinate dinamiche abusanti.
La co-dipendenza si sviluppa già da bambini, e il narcisista è il
lupo che non aspetta altro che di incontrare nel bosco
quell’adulto rimasto indifeso.

 

Credits: www.pierandreapriolo.it

Bibliografia: Bibi Hayworth, 7 anni di buio, Amazon