Roma 16 luglio 2022
A cura del dott. Marco Salerno
“Tutte le famiglie felici si assomigliano; ogni famiglia infelice è infelice a modo
suo”, recita il celebre incipit di Anna Karenina di Lev Tolstoj.
Ebbene, è proprio così: la famiglia, complesso di relazioni e rapporti che non si
esauriscono di certo nella semplice parentela, è un intreccio di tutti i possibili
sentimenti umani, elevati a potenza.
Molto di ciò che siamo, di ciò che diventiamo da adulti o riusciamo ad esprimere
delle nostre innate potenzialità già parzialmente intuibili durante l’infanzia, lo
dobbiamo a quell’ingombrante condizionamento affettivo ed ambientale
rappresentato dalla famiglia.
Tanto più questa è disfunzionale o comunque attraversata da attriti e conflitti,
tanto più sarà difficile per un individuo nella vita essere centrato ed equilibrato.
Un componente o membro familiare affetto da disturbo narcisistico di
personalità può rivestire un ruolo determinante nel plasmare prima bambini,
quindi un domani adulti, a loro volta insicuri narcisisti o insicuri autolesionisti.
Come sempre, parlando di narcisismo, un ruolo fondamentale lo gioca il livello di
autostima personale. E quanto possa contare il giudizio dei genitori e l’approccio
che questi hanno nell’educarli, per plasmare la considerazione di sé che i figli pian
piano costruiscono interiormente, crescendo, è evidente a chiunque.
Cosa accade, dunque, nel caso in cui si nasca da genitori narcisisti loro per primi?
Innanzitutto, è necessario ricordare la scarsa empatia che il narcisista dimostra
nei confronti del proprio prossimo, non solo quando questo rappresenta una
vittima delle sue trame seduttive. Anche il genitore narcisista, nei confronti dei
figli, adotta strategie e comportamenti improntati all’indifferenza sentimentale: i
figli diventano proiezioni di sé, non individui da amare e dunque rispettare nella
loro diversità e individualità.
Il genitore narcisista si compiace del figlio o della figlia in cui può rispecchiarsi,
che di fatto si adopera per confermare la sua visione del mondo e che si sforza di
compiacere il padre o la madre (o entrambi), replicandone anche lo stesso
atteggiamento aggressivo e manipolatorio, indossando la stessa identica armatura
difensiva, allo scopo di nascondere ogni profonda insicurezza agli occhi degli altri,
cosa che distingue tutti i narcisisti perversi.
Ma cosa succede invece a quei figli che al contrario rifiutano, istintivamente o
razionalmente, lo schema genitoriale, e dunque vengono percepiti come ribelli o,
in un certo senso, eterodossi rispetto alle aspettative nutrite da mamma e papà?
In una famiglia sana, in cui i genitori sanno che i propri figli non sono semplici
emanazioni di sé, ma individui con una propria distinta personalità, che va
seguita, guidata e incoraggiata nelle proprie aspirazioni, non ci sarebbe nulla di
male.
Ma quando i genitori, o almeno uno di loro (che generalmente si rivela dominante)
è un narcisista, il figlio che si distingue, che persegue una strada diversa da quella
tracciata, immaginata, o peggio, ambita, dal proprio padre o dalla propria madre,
rischia di diventare una vittima all’interno delle dinamiche familiari.
Genitori, ma anche eventuali fratelli e sorelle che si fossero adeguati allo
schema narcisista, o anche parenti che dovessero osservare tali meccanismi
solo dall’esterno, o quanto meno ascoltando esclusivamente la campana dei
componenti narcisisti del nucleo familiare, potrebbero arrivare a vittimizzare il
“dissidente”, al punto quasi di bullizzarlo.
E si badi che il termine è tutt’altro che esagerato.
Il bullismo è un fenomeno generalmente riferito a comportamenti violenti e
prevaricatori di alcuni gruppi di giovani, perlopiù in età scolare, nei confronti di
singoli coetanei (e non) individuati come possibili vittime, in quanto percepiti come
più deboli e indifesi.
Alla base dell’arroganza e prepotenza tipica del bullo c’è in effetti la stessa
convinzione istintiva di avere il diritto di fare ciò che si fa, perché ci si sente al
di sopra delle regole e non si prova quasi mai alcuna forma di empatia nei
confronti della sofferenza inferta alle vittime, che vengono sostanzialmente
oggettivizzate.
Si può chiaramente notare quanto in comune questo atteggiamento abbia con il
narcisismo patologico.
Chi prevarica il prossimo è di per sé un insicuro, che ha bisogno di dominare per
affermarsi, che necessita della paura provocata negli altri per sentirsi superiore,
per colmare quel vuoto affettivo che si porta dietro dall’infanzia.
L’adulto narcisista, come il ragazzino bullo, ha una concezione dei rapporti
gerarchica e verticale, in cui esiste solo la dinamica del comando e della
sottomissione, a differenza di chi possiede in sé un sano livello di autostima,
che viceversa ha una Weltanschauung (“visione del mondo”, mutuando un
termine proprio dell’epistemologia tedesca) orizzontale, dove tutti sono uguali,
nel senso pieno dell’uguale riconoscimento di dignità, e dunque meritevoli di
essere amati e apprezzati ognuno per le proprie singole capacità e i propri talenti.
Di certo, al giorno d’oggi la costruzione di un sano livello di autostima è un
esercizio ulteriormente complicato dalla diffusione planetaria dei social network.
Se difatti essa è il risultato della percezione che ognuno di noi si fa del giudizio
degli altri in risposta ai nostri comportamenti e alla nostra personalità, e se un
tempo tutto ciò dipendeva dal riscontro da parte di una più o meno ristretta cerchia
di conoscenze, oggi il compito si fa più arduo.
Volenti o nolenti siamo quasi tutti esposti e sollecitati ad ottenere l’approvazione di
quel ben più vasto, fluido e non del tutto manifesto entourage di contatti che,
come una massa indistinta inesorabile, ci ritroviamo a gestire sui nostri profili
social.
Pensiamo a quanto, per le nuove generazioni, che non hanno conosciuto in
precedenza altre forme di aggregazione, come pure di formazione del consenso,
diverse dalle piattaforme social, sia fondamentale ottenere approvazione
attraverso un semplice click sul pulsante del pollice in sù.
Pensiamo a quanto anche noi adulti siamo stati irretiti da questi meccanismi che
solleticano, in modo apparentemente innocuo, quel tanto di narcisismo che
ognuno alberga in sé.
Ma per un adolescente, un ragazzino, condividere ogni singolo respiro, azione,
pensiero, non come un tempo nel segreto del proprio diario, che diventava
l’occasione per un momento di riflessione (e dunque di crescita mentale), ma
esclusivamente in vista e in attesa spasmodica di una valanga di like, significa
incorrere, al contrario, in una cupa frustrazione qualora il post, la foto, la frase
pubblicati non vengano salutati da reazioni di apprezzamento.
Un sano livello di autostima, che si traduce in una difesa dagli attacchi della
protervia narcisista, si misura anche dalla capacità di saper considerare le
proprie azioni per quello che sono, sapere di aver fatto un buon lavoro ed
esserne giustamente orgogliosi, anche senza dover per forza attendersi lodi
sperticate, o pubblici riconoscimenti.
Ma questa consapevolezza si impara da piccoli, già durante l’infanzia, sempre che
si abbia la fortuna di avere dei genitori o dei formatori che, anziché preoccuparsi
di dare sempre un premio a prescindere dai risultati, sappiano stimare il giusto
merito, consolare quanto basta i figli nelle eventuali sconfitte e stimolarli,
incoraggiarli nell’incertezza.
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